Da Green pass a Green passato. Archiviato si spera per sempre, sepolto in letargo nelle memorie stracolme dei nostri smartphone. Da domani il QR code più discusso d'Italia non sarà più richiesto, rimarrà soltanto per chi viaggia all'estero ed entra in ospedali ed Rsa. Dopo nove mesi di polemiche feroci, si chiude una parentesi che nessuno rimpiangerà. E forse vale la pena fare un bilancio.
Prima considerazione: chi in questi mesi ha gridato alla «dittatura sanitaria», dipingendo il pass come un pretesto per controllarci da parte di uno Stato orwelliano che una volta revocata una libertà poi non la restituisce più, è stato smentito. Con la sua fine, il Green pass dimostra di essere stato una misura eccezionale e transitoria, dettata dall'emergenza sanitaria. Occorreva superare le resistenze alla vaccinazione e proteggere la più vasta fascia possibile di popolazione, tutelando anche la libertà dei vaccinati di muoversi e vivere. Una volta raggiunto l'obiettivo, non serve più.
Da qui la seconda domanda: il Green pass è servito al suo scopo? I numeri dicono che in Italia 48.598.684 persone - l'84,1% della popolazione - hanno completato il ciclo vaccinale. Il 6 agosto 2021, giorno in cui il pass è diventato obbligatorio, era il 57%. Non è solo merito del «ricattino» (perché questo è stato) del pass, ma di sicuro la prospettiva di esclusione da tante attività ha avuto un peso nel convincere i renitenti all'iniezione. Certo, non ha fatto sparire la malattia, né ha azzerato totalmente contagi e morti, ma ha contribuito a ridurre l'impatto del Covid sulla sanità pubblica.
Terza questione: ne è valsa la pena? Di certo è stato fastidioso armeggiare con telefonini e foglietti per entrare in ogni bar, ristorante o cinema. È stato un lacciuolo con cui la libertà di movimento degli italiani è stata condizionata per evitare di venire annientata da nuovi lockdown. Ma sinceramente, al netto di posizioni di principio fuori dal tempo e dallo spazio, non si può dire che sia stato un sacrificio insopportabile. Lo è stato caso mai per gli esercenti, che lo Stato dovrebbe ringraziare e magari ricompensare per essersi sobbarcati il ruolo di controllori nonostante le lungaggini dei ristori. Per il resto, oggi a mente più fredda possiamo ammettere che - come da sempre sostenuto su queste colonne - esibire il pass non è stata tutta questa tragedia. Ed è stato un prezzo accettabile per recuperare la facoltà di socializzare, divertirci e lavorare senza più l'incubo di finire in rianimazione al primo contatto.
Infine, merita una riflessione anche l'effetto che il pass ha avuto sugli italiani. Se ripensiamo alla guerriglia urbana al porto di Trieste, agli scioperi, ai fumogeni in piazza Duomo, ai comizi dei «disobbedienti», sembrano immagini da un'altra epoca, suonano come anatemi apocalittici medievali. La guerra civile ideologica e la cagnara partitica di qualche mese fa stridono con le scene di pacifica ordinarietà che si vedono oggi nei locali o negli stadi pieni. Annunciata come l'alba di un sopruso, l'entrata in vigore del Green pass non ha portato il totalitarismo.
In compenso, ha causato una nuova spaccatura in una società già portata a dividersi in fazioni su tutto: da una parte la maggioranza disposta a stare alle regole, dall'altra una porzione non minuscola che rifiuta il buonsenso in quanto mainstream e non accetta alcuna imposizione in nome del bene comune. In questo sì, il Green pass è passato, ma ha lasciato cicatrici. Resta da capire se un'estate di libertà pienamente recuperata basterà a curarle.
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