È ricoverato presso l'ospedale di La Spezia e da una settimana è in attesa di essere sottoposto a un intervento chirurgico. Le sale operatorie sono però sempre piene, e così da allora è costretto a digiunare, alimentato solo da flebo in modo tale da essere pronto a sostenere l’operazione qualora si liberasse un posto. Una vicenda dai contorni paradossali, quella che sta vivendo sulla propria pelle un 42enne residente a Beverino. L'uomo aveva effettuato un primo accesso al pronto soccorso del capoluogo spezzino circa una decina di giorni fa, a causa del dolore intenso causato dai calcoli alla cistifellea (stando a quanto emerso dalle analisi).
In un primo momento era stato tuttavia dimesso, salvo essere successivamente ricoverato per essere operato. Solo che ad oggi l'intervento non si è ancora concretizzato. Il motivo sarebbe rappresentato dal concomitante numero di interventi giudicati più urgenti che non hanno consentito di liberare la sala operatoria. Così il paziente non mangia da giorni, aspettando il proprio turno per finire sotto i ferri che potrebbe (potenzialmente) arrivare da un minuto all'altro. Una situazione logorante, a causa della quale la madre dell'uomo, Clelia Cannavò, ha scritto una dura lettera alla direzione sanitaria di Asl 5. Nella speranza di trovare una risposta ai tanti interrogativi della storia.
"Mercoledì scorso alle 22, mio figlio Walter Simonini, di anni 42, è stato trasportato con l'ambulanza di Beverino al pronto soccorso per una colica causata da un calcolo alla colecisti. È stato quindi ricoverato in appoggio al reparto otorinolaringoiatra, in attesa dell'intervento da parte della chirurgia. Ogni mattina, da quel giorno, non gli è stato dato il cibo: sia perché gli avrebbe procurato altro dolore, sia perché doveva tenersi pronto nel caso in cui si fosse liberata la sala operatoria - il testo della missiva, che la donna ha pubblicato poi anche su Facebook - quindi è da giovedì scorso che è tenuto, non in osservazione, ma a digiuno in attesa che si liberi per un posto. Gli viene somministrata, e non sempre, una flebo per evitare la disidratazione. Sono trascorsi sette giorni. Sette giorni contati non in giorni, ma in ore attraverso le speranze degli infermieri: 'Vedrai che oggi ti chiameranno...'.
Questa attesa è snervante per me, da madre, che pur avendo 81 anni sto bene. Ma soprattutto per mio figlio che sa di poter essere chiamato da un momento all'altro e conta anche i minuti. Quanto deve durare quest'agonia? A quanto pare nessuno sa dare una risposta. È possibile?”- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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