Non hanno mai davvero giocato nella stessa squadra. Quando Giuseppe Conte appare sulla scena politica, tutti pensano che sia un Cinque Stelle. La realtà è un po' diversa. L'avvocato ha annusato il potere, con una tradizione democristiana alla spalle e la curiosità per le avventure fiorentine di Renzi, l'attenzione a quello che si muoveva intorno ai palazzi, perché non si sa mai. È l'idea che frequentando le persone giuste qualcosa prima o poi potrebbe accadere. La porta del mondo grillino l'ha aperta con la complicità di Bonafede, ma non si è mai sentito del tutto uno di loro. C'è stato solo un momento in cui ha pensato di poter scalare da leader il Movimento. Non sono più quei giorni.
Luigi Di Maio fatica a vedere nelle buone maniere di Giuseppe qualcosa di rassicurante. Non si fida ed è ricambiato. Questa distanza si vede in controluce anche in questi lunghi giorni di crisi di maggioranza. Il ministro degli Esteri ogni volta che parla rinnova la sua alleanza, perlomeno tattica, con il premier. Il problema è che quello che dice rende il Conte bis più fragile. È lui che mette il chiavistello a un ritorno di Renzi nella maggioranza. Conte per salvare la poltrona deve affrettarsi a trovare un manipolo di volontari disponibili a dargli una mano. Non devono però neppure aspettarsi troppo in cambio. Non ci sono promesse da fare.
Non si limita però a questo. Mette sul tavolo il cronometro e comincia il conto alla rovescia. Il premier ha quarantotto ore di tempo per trovare una soluzione oppure si va al voto. Quella delle elezioni ha il sapore di una minaccia, ma neppure Giggino ci tiene che si avveri. La teme, come tutti quelli che stanno nella maggioranza. Allora perché evocare le urne? Per far capire a chi le scongiura, perché ci vede la fine di una carriera, che la strada più sicura per evitarle è sbarazzarsi senza troppi rimpianti proprio di Conte. Non a caso esclude nettamente il Conte ter: «Se i numeri non ci sono ora, non ci saranno nemmeno per un nuovo governo guidato da lui». Il concetto è che se la maggioranza va sotto sulla relazione del ministro della Giustizia, cioè Bonafede, serve un altro campione. È insomma importante non cadere sulle parole di Bonafede. Appunto.
Il ministro già di suo non sta immaginando un discorso conciliante. Il tema della prescrizione, per esempio, è urticante non solo per il Pd o i renziani, ma anche per buona parte dei «volenterosi». Se si vuole dare una mano al governo sarebbe opportuno lasciarlo fuori o sfumarlo. State sereni: ci pensa Di Maio. La prescrizione è una bandiera storica dei Cinque Stelle. Non si può ammainare. «Il voto su Bonafede è un voto sul governo». Ergo: se volete salvare Conte dovete digerire la prescrizione. Risposta di Sandra Lonardo, moglie di Mastella e presunta volenterosa: «Di Maio non aiuta Conte. Vuole i voti per continuare a fare il ministro degli Esteri, ma, poi, con arroganza, richiede una obbedienza cieca ed assoluta alla linea ultragiustizialista del suo collega Bonafede».
Allora si andrà alle elezioni? Calma. Giggino le evoca, ma poi ne disegna le sciagure: «Ci giochiamo il Recovery, i vaccini e il futuro della ripresa economica». La sua soluzione è un'altra. È trovare una nuova maggioranza ma senza Conte. I voti, sorpresa, ce li metterebbe Renzi. Si, proprio lui. E il premier? Non è che Di Maio non ci abbia mai pensato.
Lo stesso Matteo a inizio gennaio gli aveva proposto un patto: tu vai a Palazzo Chigi e magari io prendo il tuo posto alla Farnesina. Luigino allora non si è fidato e poi bisogna convincere quelli del Pd. E adesso? Adesso c'è in ballo il futuro dell'Italia e pure un Di Maio può servire. Le ambizioni di Giggino sono infinite.
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