"I miei clienti sono presunti non colpevoli". Lo ribadisce con forza l'avvocato Simone Servillo, legale dei genitori di Saman Abbas, la 18enne pakistana scomparsa da Novellara la notte del 30 aprile 2021 in circostanze ritenute sospette dagli inquirenti che indagano sul caso. La Procura di Reggio Emilia ha aperto un fascicolo d'inchiesta con l'ipotesi di reato per sequestro di persona, omicidio e soppressione di cadavere, rinviando a processo cinque familiari della ragazza: il padre e la madre (Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, due cugini (Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq) e uno zio (Danish Hasnain).
Agli atti del procedimento penale, che inizierà il prossimo febbraio, vi sono le intercettazioni dei genitori di Saman. Una in particolare, che riguarda una telefonata intercorsa da Shabbar Abbas e un parente, ha suscitato grande clamore mediatico in questi giorni. "L'ho uccisa io, per il mio onore", sarebbero state le parole pronunciate dal padre della 18enne. Nonostante gli elementi raccolti dagli investigatori (i video della fuga in aeroporto dei coniugi Abbas e alcune chat degli indagati) fugano quasi ogni dubbio sul delitto d'onore, l'avvocato Servillo insiste con la teoria che i genitori della ragazza siano estranei alla vicenda. "Non è stata 'una confessione', così come hanno scritto alcuni giornali - spiega alla nostra redazione il legale riguardo alla intercettazione di Shabbar - Bisogna valutare i fatti e, a oggi, non vi sono elementi che depongano a sfavore dei miei assistiti". E arriva pure a negare l'omicidio: "Finché non vi è il ritrovamento del corpo non c'è certezza".
Avvocato Servillo, come commenta le ultime, presunte intercettazioni dei genitori di Saman?
"Anzitutto si tratta di stralci di conversazioni, contenuti in un'informativa dei carabinieri, che i miei assistiti avrebbero intrattenuto l'uno (il padre di Saman, ndr) con un familiare e l'altra (la mamma di Saman, ndr) con il fratello minore delle ragazza. Detto ciò, credo che sarebbe opportuno verificare se la traduzione sia corretta dal momento che gli interlocutori potrebbero aver comunicato, a quanto ne sappiamo, anche in un dialetto pakistano".
La frase che sarebbe stata pronunciata da Shabbar Abbas è: "L'ho uccisa io, per il mio onore".
"Quella frase, con cui si stanno riempiendo pagine e pagine di giornali, è un mero virgolettato emerso da un brogliaccio. Bisognerebbe accertare che il parlante fosse realmente Shabbar Abbas e poi valutare il contesto in cui si presume sia stata pronunciata".
Che intende dire?
"Posto sia stato lui a pronunciarla, non si può escludere un'interpretazione diversa da quella che ne ha dato la stampa".
Quale?
"Potrebbe averlo detto in senso figurativo. Del resto, anche la mamma di Saman ha usato un'espressione analoga: 'Siamo morti lì'. Per quale motivo nel caso di Shabbar Abbas dovrebbe trattarsi di 'una confessione' – come ho letto in questi giorni su alcune pagine di cronaca – e nel caso, invece, di Nazia Shaheen vale un'interpretazione alternativa?".
E quindi qual è la chiave di lettura corretta?
"A parer mio queste due presunte intercettazioni, messe a confronto, rafforzano l'ipotesi che i miei assistiti non ne sappiano nulla di questa storia. Nessuno ha parlato di omicidio".
Ma lei ha parlato con i genitori di Saman?
"No. Ma spero si facciano vivi attraverso gli appelli che rinnovo attraverso i media: non hanno nulla da temere".
E allora perché non tornano in Italia?
"Non vi è la 'prova provata' che siano a conoscenza del processo. Credo non ne sappiano nulla".
Pare che Shabbar sia protetto al suo villaggio e abbia un'altra identità.
"Per quanto mi riguarda, sono solo chiacchiere. Mi scusi, possibile che si sappia dove si trova Shabbar, che avrebbe addirittura cambiato identità, ma che le forze dell'ordine non riescano a trovarlo? Mi sembra piuttosto paradossale".
Si vocifera che abbia conoscenze tali da garantirsi protezione.
"Su quest'uomo sono state dette molte falsità, è stato accostato addirittura agli ambienti della malavita pakistana. Shabbar era un agricoltore e sua moglie una casalinga. Trovo veramente assurdo che siano state fatte certe illazioni".
Nella denuncia risalente a pochi mesi prima della scomparsa, Saman descriveva il padre come un "uomo violento". Cosa ne pensa?
"Bisogna distinguere le due cose. Saman aveva sicuramente un rapporto conflittuale con i genitori ma questo esula dalla circostanza del presunto delitto. Il fatto che vi fossero delle tensioni non costituisce di certo la prova di un eventuale coinvolgimento dei miei clienti nella vicenda".
Uno dei due cugini indagati, Ikram Ijaz, avrebbe confidato a un detenuto i dettagli dell'omicidio. Ritiene possa essere un racconto credibile?
"La storia dei processi giudiziari è piena di 'compagni di cella' che, a un certo punto, riportano alla polizia penitenziaria le confidenze ricevute da un detenuto coinvolto in una vicenda di particolare attenzione mediatica. Non credo si tratti di un racconto attendibile. Del resto mi pare che anche gli inquirenti abbiano dei dubbi al riguardo".
Si è parlato anche di un "uomo incappucciato" intervenuto sulla presunta scena del crimine.
"Un motivo in più per ritenere inverosimile questo racconto. Bisogna valutare i fatti e, al momento, non ci sono elementi che depongano a sfavore dei miei assistiti. Anzi: è proprio il contrario".
Che intende?
"Ci sono molti elementi che bisognerà valutare durante il processo. Per certo, i miei clienti sono presunti non colpevoli e credo che in quanto tali debbano essere trattati. I media li hanno già condannati ma non abbiamo nessuna prova, nemmeno del presunto delitto".
E quindi, secondo lei, a Saman cosa è successo?
"Finché non vi è il ritrovamento del corpo, o altri elementi di prova inconfutabile, non possiamo parlare con certezza di omicidio".
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