Sassari, nel carcere dei terroristi islamici nessun agente parla arabo

Viaggio all'interno dell'area in cui sono imprigionati i detenuti più pericolosi ma non c'è neanche un imam a fermare il proselitismo

Sassari, nel carcere dei terroristi islamici nessun agente parla arabo

Nella quarta puntata della serie prodotta da Repubblica Tv e Visualdesk in collaborazione con l'Associazione Antigone, "Prigioni d'Italia" entra all'interno del carcere di Sassari dove sono detenute persone accusate di terrorismo islamico.

Nella sezione di alta sicurezza, i presunti terroristi sono isolati dagli altri detenuti, anche quelli di religione musulmana, e sottoposti a rigidi controlli. Alessio Lupino, agente di polizia penitenziaria, racconta: "Hanno due ore, una al mattino e l'altra al pomeriggio, in cui possono usufruire del cortile. E poi alcune ore di socialità. In quei momenti fanno quello che vogliono, non ci sono limiti di comunicazione tra l'uno e l'altro".

E aggiunge: "Qui però nessun agente capisce l'arabo. Sarebbe importante per capire eventuali segnali da parte di soggetti indottrinati. Manteniamo comunque gli occhi aperti, soprattutto quando ci sono attentati. Ad oggi non è mai emerso che qualcuno abbia esultato".

Per ovviare questo problema sarebbe necessaria la presenza di un imam durante la preghiera, così come avviene nel carcere Regina Coeli a Roma e in quello delle Vallette a Torino, ma i momenti di preghiera sono gestiti dai

detenuti stessi quindi, spiega Tiziana Renzi, educatrice del carcere, "non abbiamo gli strumenti per valutare se si tratta di una nostra paura o se abbiamo a che fare con una persona realmente pericolosa".

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