Certe parole sono pietre tombali, chi gioca sulla morte degli avversari pur di raccattare qualche voto è un cadavere politico. L'ex presidente dell'Antimafia in quota M5s Nicola Morra è in corsa come candidato governatore in Liguria per la lista «Uniti per la Costituzione». I grillini l'hanno cacciato, lui è indietrissimo nei sondaggi («non siamo messi male», blatera) e questo gli toglie lucidità. Perché Morra ci è ricascato: «Come dissi per la povera Jole Santelli in Calabria, motivo per il quale poi venni travolto dalle ingiurie, gli elettori liguri devono essere consapevoli che stanno votando una persona malata che potrebbe non terminare il mandato. Il sindaco di Genova Marco Bucci ha un tumore metastatico, con il quale non si scherza, anche se lo vedo tonico (sic)».
Frasi dette al Foglio che puzzano di sciacallaggio, la premier Giorgia Meloni twitta «livello inaccettabile, la salute non dovrebbe mai essere strumentalizzata. Forza Marco!», Bucci ci ride sopra («Sto benissimo, governerò 10 anni»). A far piangere è l'asticella della lotta politica ormai sprofondata sottoterra, sepolta dalle farneticazioni della masnada pentastellata di cui Morra è interprete più che autentico, anche in ossequio al significato etimologico del suo cognome: rissa, confusione, frastuono. E a lui, come frastornato dalla valanga di insulti ricevuti dopo la lettura del Foglio, «meschino», «vergognoso», «indegno», «squallido», «ignobile», «schifoso», «disumano», «sciacallo», «cretino» e «spregevole» per citare i più teneri, tocca fare un video su Facebook mentre era in macchina per dire che è stato frainteso, e vabbè. «Tesi non mie, mi hanno teso un tranello, voglio parlare con Bucci», la sua versione.
Agli epiteti manca «recidivo» per l'oltraggio al cadavere innocente della Santelli, allora rischiò la poltrona e perse la faccia: «Era noto a tutti che fosse una grave malata oncologica. Se però ai calabresi questo è piaciuto, è la democrazia», sibilò qualche giorno dopo la scomparsa del governatore azzurro. Dovette scusarsi con la famiglia, lacrime di coccodrillo che non commossero nessuno, come conferma al Giornale la sorella Paola Santelli: «Eviti di parlare nuovamente di Jole in modo così poco sensibile e inopportuno, e di ribadire un pensiero così poco rispettoso dei malati oncologici e delle loro famiglie».
Ma Morra si considera un puro più puro dei puri: in pieno Covid si presentò con la scorta nell'Asp di Cosenza aggredendo verbalmente i medici di turno e pretendendo di far vaccinare due suoi parenti ultraottantenni, beccandosi un esposto per abuso di potere, nel 2020 licenziò il «suo» candidato M5s alla Regione Calabria Francesco Aiello, reo di avere un cugino con precedenti di mafia e (orrore) un mini abuso edilizio. I grillini traditi gli rinfacciarono la vicinanza ai fratelli Antonio e Pino Gentile, storici signori delle tessere di centrodestra e nemici acerrimi (politicamente) della povera Jole e dei fratelli Occhiuto, Mario e Roberto, tirando in ballo anche qualche equivoca frequentazione di suo figlio Emilio Morra. Vigliaccate senza senso, buone per i giornali forcaioli a caccia di guai giudiziari. Come l'imboscata a un indagato, trasformato in delatore. Morra invitò a casa sua uno stretto collaboratore degli Occhiuto, registrò la conversazione e la girò a un magistrato «gradito» della Procura. «Trovo aberrante che un senatore agisca in modo così subdolo», disse una inascoltata Santelli. Casualmente - lo ricorda sempre Maurizio Gasparri - il magistrato che aveva ricevuto il brogliaccio era stato poi chiamato a collaborare in Antimafia. Materiale per il Csm rimasto in un cassetto. A proposito, anche lì era di casa.
L'ex consigliere di Palazzo de' Marescialli Piercamillo Davigo condivise con Morra le carte segrete sulla fantomatica Loggia Ungheria della Procura di Milano pur di mascariare l'ex amico di entrambi Sebastiano Ardita. Davigo si è beccato un anno e tre mesi, Morra si è rimesso i panni del becchino. Alle urne liguri una risata lo seppellirà.
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