Scuola, gli italiani calano nei test se hanno uno straniero in classe

Si ripropone il problema integrazione. Uno studio evidenzia ritardi nell'apprendimento nelle seconde elementari in cui vi sono stranieri

Scuola, gli italiani calano nei test se hanno uno straniero in classe

C'è uno studio sulle scuole che dimostra che per ogni straniero in aula gli studenti italiani calano nei test. Ne parla oggi Andrea Ichino sul Corriere della sera. Dai dati della ricerca "The Tower of Babel in the Classroom" emerge che se sostituiamo un ragazzino italiano con un immigrato, in una classe seconda elementare, le risposte corrette date dai nativi nei test Invalsi si riducono di una percentuale considerevole: del 12% in italiano, del 7% in matematica. Che vuol dire? Che l'integrazione, nel bene o nel male, crea dei problemi. E che sarebbe stupido non tenerne conto, considerato l'aumento vertiginoso di stranieri presenti nelle scuole: nel 1995-96 eravamo allo 0,6% circa, ora siamo al 9,4%. Dallo studio emerge anche un altro dato importante di cui bisogna tener conto: l'effetto negativo che l'ingresso di uno straniero crea nei suoi compagni di classe italiani, tende a svanire (è riassorbito) nell'arco di circa tre anni. Arrivati in quinta elementare, dunque, non si notano quasi più sostanziali differenze nei test Invalsi. L'integrazione a scuola, dunque, si realizza, ma ci vuole tempo. E se in media gli studenti stranieri sono meno di due per classe, esistono zone del Paese dove la presenza è molto più massiccia (nel 6% delle classi si arriva al 30% di figli di immigrati). In alcuni casi ilimite i genitori, esasperati, arrivano a togliere i loro figli da una scuola, perché la maggioranza della classe era di stranieri.

Che fare? Sicuramente il problema esiste: come dimostrato dallo studio. Ed è un problema che bisognerebbe affrontare senza i paraocchi delle ideologie, da una parte e dall'altra. Chi ha a cuore veramente l'integrazione deve rendersi conto che non ci può essere a costo zero. E che bisogna fare i conti senza ipocrisie con questo "prezzo" (il ritardo nell'apprendimento dei bambini). Ma se per un attimo ci limitiamo a pensare ai bambini da integrare, gli stranieri, è lecito domandarsi se non sia il caso che prima imparino un minimo la lingua, se proprio partono da zero (o quasi). Perché un conto è un bambino che vive da anni nel nostro Paese e che capisce l'italiano (e lo parla). Altra cosa è un bambino che non parla una parola della nostra lingua e ha enormi difficoltà visto che anche i suoi genitori sono nelle stesse condizioni. Pensare percorsi di integrazione graduale dei ragazzini, da valutare caso per caso, non è razzismo: è guardare negli occhi la realtà.

In alcuni casi, come evidenziano i dati, alcuni dirigenti scolastici tenderebbero a collocare il maggior numero di stranieri nelle classi in cui i nativi hanno famiglie meno istruite e/o meno abbienti. Questa, sì, è una forma altamente ipocrita di razzismo, con differenze palesi all'interno delle singole scuole (con classi, dunque, di serie A e di serie B). E' anche con queste assurdità che deve fare fronte il sistema scolastico italiano. Intanto il ministro dell'Istruzione, Maria Chiara Carrozza, torna a ripetere (a SkyTg24) che "la scuola sta facendo il suo dovere, l’integrazione funziona ovunque". Anche se ammette che "ci sono casi diversi e vanno affrontati. Ma insiste: "La scuola è un luogo di integrazione, i casi di razzismo sono isolati".

E puntualizza: "Bisogna distinguere fra immigrati e immigrati, quelli di seconda generazione, nati in Italia che parlano benissimo la lingua italiana, e quelli che non la sanno. La scuola è attrezzata per questo. Ci sono regioni che hanno una grande percentuale di immigrati a scuola, si arriva anche al 15% in alcuni casi".

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