Andria, call center e moschea: ecco la scuola di terrorismo per indottrinare i musulmani

Un'organizzazione di 5 tunisini è stata condannata dal gup di Bari nel settembre del 2014. Tutta la loro attività di formazione e proselitismo di aspiranti mujaheddin nelle motivazioni della sentenza

Andria, call center e moschea: ecco la scuola di terrorismo per indottrinare i musulmani

Il terrorista è "facilmente mimetizzabile nel tessuto sociale", ma "in grado di attivarsi nel quadro dell’orizzonte di lotta jihadista": ha una "doppia vita, una normale e l'altra segreta e illecita". A scriverlo è il gup del Tribunale di Bari Antonio Diella, nelle articolate motivazioni della sentenza con cui, nel settembre 2014, ha condannato in abbreviato, per associazione sovversiva finalizzata al terrorismo internazionale di matrice islamista, cinque tunisini. Gli imputati sono tutti finiti in prigione, con condanne tra i 3 e i 4 anni. La pena più severa, a 5 anni e 2 mesi di carcere, è stata inflitta a Hachemi Ben Hassen Hosni, già Imam della Moschea di Andria, considerato il capo dell'organizzazione.

Al centro delle indagini della Procura barese e dei carabinieri del Ros la cellula terroristica di matrice islamista con base logistica ad Andria, all’interno di un call center, gestito dal capo del gruppo. L’indagine, denominata “Masrah” (teatro), consentì di documentare come, a partire dal 2008, gli indagati si fossero associati tra loro allo scopo di compiere atti di violenza con finalità di terrorismo internazionale in Italia e all’estero, secondo i dettami di un’organizzazione transnazionale, che opera sulla base di un complessivo programma criminoso politico-militare, caratterizzato da sentimenti di acceso antisemitismo e antioccidentalismo e dall’aspirazione alla preparazione ed esecuzione di azioni terroristiche da attuarsi contro governi, forze militari, istituzioni, organizzazioni internazionali, cittadini civili ed altri obiettivi – ovunque collocati – riconducibili agli Stati ritenuti “infedeli” e nemici. Il tutto nel quadro di un progetto di “guerra santa”, la “jihad”.

Nelle 591 pagine di motivazioni, il gup ha ribadito in più passaggi che "non si tratta di un giudizio sul credo religioso degli imputati", e ha ripercorso la storia del terrorismo di matrice islamica, analizzandone l’evoluzione. Un testo che offre numerosi spunti di riflessione. Il giudice parla, infatti, di "conversione strategica dalla centralizzazione operativa alla grande galassia di piccoli nuclei organizzati", definendolo un fenomeno "più pericoloso, meno facile da intercettare e più capace di diffondere una atmosfera di terrore destabilizzante". È questa, sottolinea il gup, la"più recente politica globale di Al Qaeda tesa a promuovere un vero e proprio spontaneismo jihadista".

Gli imputati erano costantemente impegnati nell' "opera di proselitismo" e nella continua "ricerca di aspiranti mujaheddin" nelle due strutture ritenute basi logistiche del gruppo pugliese: la moschea di Andria e il call center, definite dal gup "vere e proprie scuole di terrorismo e luoghi di indottrinamento". Due strutture in cui non erano stati realizzati progetti determinanti, ma si svolgeva costantemente "attività di studio e formazione".

L'inchiesta ha documentato"specifiche ricerche nel web sul confezionamento esplosivi, armi e acquisizione di informazioni sulle procedure di reclutamento di volontari da inviare ai campi di battaglia in Iraq, Afghanistan e Cecenia". Dal web, inoltre, venivano acquisiti "video su tecniche di addestramento militare accompagnati da colonne sonore dai toni eroici che inneggiavano alla guerra santa esaltando la dolcezza del martirio". Il collante principale all'interno del gruppo era costituito dal"comune odio contro ebrei, America e occidente".

Anche la scelta della Puglia per il gup non sarebbe un caso: "L’Italia è un ponte favorevole per raggiungere le zone di combattimento" e "l’area territoriale di Bari e Foggia, notoriamente popolata da folte

comunità di immigrati e sita a ridosso dei Balcani e pertanto in posizione di apertura ad Oriente e al Nord Africa, risulta attualmente tra le più sensibili e a rischio di diffusione del fenomeno".

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