Che fine ha fatto il cattolicesimo conservatore? La domanda, circoscrivendo il discorso ai nostri confini nazionali, può valere sia per il contesto "Chiesa" sia per quello politico-istituzionale. Ma se è vero che il peso dell'Ecclesia (e del cattolicesimo laicamente inteso) è diminuito con l'avvento della società contemporanea, è vero pure che quel poco d'influenza rimasta risiede tra le mani delle cosiddette frange "progressiste".
La dimostrazione plastica è arrivata pure dalla sfida per il Quirinale: Andrea Riccardi, uno dei nomi ventilati nelle prime fasi della discussione sul futuro del Colle, è il fondatore di Sant'Egidio, una realtà tradizionalmente associata al centrosinistra. Lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella viene dall'ala sinistra della Democrazia Cristiana e dall'Ulivo e si è spesso rimarcato il suo essere cattolico ma tendente a una visione più progressista.
Per paradosso, un nome accostabile al popolarismo cattolico, per quel che riguarda i "quirinabili", era quello di Pier Ferdinando Casini, che è tuttavia un parlamentare eletto tra le fila del Partito Democratico. In realtà, il centrodestra un nome connotato da "ratzingerismo" l'ha fatto: quello dell'ex presidente del Senato Marcello Pera che non ha tuttavia mai conosciuto la prova della tenuta dell'Aula e che non risulta essere mai stato oggetto di vera trattativa tra gli attori della partita (come Riccardi a dire il vero).
La questione è politica, ma non solo - come detto - nel senso letterale del termine. In realtà è un fenomeno generale, che se riguarda la classe dirigente, certamente riguarda direttamente anche la Chiesa come istituzione. L'esempio delle figure considerate spendibili per il Colle è soltanto uno dei lati possibili: di fondo c'è che il cosiddetto cattolicesimo "di destra" viene percepito come in lenta regressione. Di rimando, come ha notato Matteo Matzuzzi in un suo lungo approfondimento per Il Foglio, la rotta intrapresa dal composito mondo cattolico italiano, ecclesiastico o laico che sia, sembra decisamente propendere verso il versante sinistro.
L'occasione per il colpo definitivo nei confronti di quello che le cronache, in specie ai tempi dell'ultimo governo presieduto da Silvio Berlusconi, hanno definito "ruinismo", potrà essere il Sinodo episcopale voluto da Papa Francesco. Durante il cammino sinodale, la Conferenza episcopale italiana potrebbe propendere per nuove forme organizzative e nuovi indirizzi dottrinali: è previsto che la "Chiesa in uscita" - la formula cara a Jorge Mario Bergoglio - diventi paradigmatica.
E poi c'è la questione del nuovo presidente della Cei, con l'imminente scadenza del mandato del dialogante e moderato cardinal Gualtiero Bassetti: il nome del cardinal Matteo Maria Zuppi, che a sua volta proviene da Sant'Egidio e che sempre dal progressismo (per quanto dialettico) pesca le sue istanze, è tanto favorito da sembrare quasi ingombrante. Da tempo si dice che Zuppi possa direttamente aspirare al soglio di Pietro.
Il protagonismo, per farla breve, è a trazione di una corrente culturale soltanto. E questo al netto del corretto utilizzo della terminologia politica in ecclesiologia: non è mai un bene. Lo stato di salute dell'altro campo è quello che è: un successore del cardinal Camillo Ruini non c'è. E il ratzingerismo è finito sotto attacco con la storia dei presunti "comportamenti non corretti" di cui Benedetto XVI è accusato in Germania.
I cattolici conservatori, ancora, si sono infilati nella dicotomia "vaccinismo" - "non vaccinismo", prestando il fianco al dilagare delle idee dei "cattolici
adulti" che ormai fanno il bello ed il cattivo tempo sul piano dell'opinione pubblica. Il Sinodo è alle porte e chi ritiene che la Chiesa cattolica debba essere trasformata nel profondo non avrà rivali lungo il suo cammino.
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