Il déjà vu è tanto terribile quanto evidente e inquietante. Le immagini dei bimbi morenti provenienti dalla provincia siriana di Idlib sono obbrobriosamente simili a quelle del 23 agosto 2013 quando un misterioso attacco chimico, attribuito inizialmente al regime di Bashar Assad, colpì le zone di Ghuta e Jobar, alla periferia di Damasco. Allora solo l'intervento di Papa Francesco e del presidente russo Vladimir Putin impedirono all'America di Obama di bombardare Damasco. Quel passo avrebbe decretato non solo la caduta del regime, ma anche la vittoria dello Stato islamico. E con il senno di poi l'intervento americano si sarebbe rivelato oltre che devastante, anche profondamente insensato e ingiusto. A tutt'oggi, infatti, non solo non sono state provate le responsabilità del regime di Damasco, ma aumentano indizi e prove che fanno pensare a un trappolone organizzato dai ribelli di Al Nusra, la costola siriana di Al Qaida, per innescare l'intervento del presidente americano. Un presidente che sin dal 2012 s'era detto pronto a punire con durissime rappresaglie l'eventuale utilizzo di armi chimiche da parte del regime. Il rapporto finale dell'Opcw (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche) presentato nel dicembre 2015 ha infatti escluso qualsiasi compatibilità tra il gas Sarin utilizzato nell'agosto 2013 e quello trasferito dai depositi siriani e distrutto, a fine 2013, sotto il controllo della stessa organizzazione. Ma le analogie che inducono a un'estrema prudenza prima di puntare il dito contro il regime sono anche altre. Nell'agosto 2013 il misterioso attacco colpì le zone della periferia di Damasco controllate dai ribelli poche ore dopo l'arrivo nella capitale di una commissione di osservatori dell'Onu incaricati proprio d'indagare sull'uso delle armi chimiche. Oggi l'attacco avviene alla vigilia della «Conferenza sul futuro della Siria» organizzata dall'Unione europea e guidata da Nazioni unite, Germania, Kuwait, Norvegia, Qatar e Inghilterra. E oggi come nell'agosto 2013 il primo a puntare il dito contro il regime e a denunciare la strage è l'«Osservatorio siriano per i diritti umani» basato a Coventry nel Regno Unito. Dietro quell'organizzazione dal nome altisonante si nasconde una sola persona. Il suo direttore Rami Abdel Raman, nonostante i finanziamenti ricevuti dal governo inglese e la credibilità attribuitagli dai principali media internazionali, è un ex commerciante il cui vero nome è Osama Suleiman. Scappato dal suo Paese nel 2000 dopo l'arresto di due soci legati alla Fratellanza Musulmana, Rami Abdel Raman alias Osama Suleiman s'è trasformato dopo il 2011 nella principale fonte d'informazioni sulla guerra siriana. Peccato che tutte le notizie uscite dalla casa-ufficio di Coventry dove lavorano lui e quattro collaboratori abbiano come unica fonte gli ambienti dei ribelli. E a rendere il tutto più ambiguo contribuisce l'ambientazione della strage. Immagini e notizie provengono da una zona della provincia di Idlib saldamente sotto il controllo di Jabhat Al Nusra, la costola siriana di Al Qaida ribattezzata lo scorso giugno con il nome «Jabhat Fath al Sham». Cambiato il nome non cambiano però l'ideologia e le modalità di una formazione accusata più volte di crimini di guerra la cui sigla è inserita nelle liste delle organizzazioni terroristiche compilate da Onu, Francia e Stati Uniti. Un'organizzazione di matrice rigorosamente al qaidista che prima di venir cacciata da Aleppo Est ha spregiudicatamente e ripetutamente utilizzato le immagini di bimbi vittime dei bombardamenti per conquistare il cuore e la solidarietà dell'opinione pubblica occidentale.
Una solidarietà quanto mai preziosa dopo le batoste subite ad Aleppo e le denunce dei 270mila civili di Aleppo Est trasformati in scudi umani a cui Jabhat Al Nusra sequestrava e negava sistematicamente gli aiuti garantiti dalle premurose organizzazioni umanitarie internazionali.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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