Ha aspettato una settimana, lasciando replicare i suoi collaboratori e i membri del governo. Ma ieri non si è trattenuto e ha deciso di usare parole pesanti contro Mario Draghi, reo di averlo definito un «dittatore». Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan non ha usato mezzi termini con il capo del governo italiano, il che dimostra quanto siano ancora in crisi le relazioni diplomatiche tra Roma e Ankara.
«Le dichiarazioni del primo ministro italiano sono di una totale indecenza e maleducazione», ha detto il presidente turco nel corso di un incontro con i giovani in una biblioteca di Ankara. «Proprio in un periodo in cui auspichiamo che le relazioni tra Italia e Turchia possano raggiungere un ottimo livello, questo signore di nome Draghi, rilasciando questa dichiarazione, ha purtroppo colpito i nostri rapporti», ha aggiunto. Ma non basta: «Tu hai raggiunto la tua posizione dietro nomina, non sei certo arrivato dove sei tramite elezioni», ha detto quasi puntando l'indice. «Prima di poter utilizzare queste parole verso Tayyip Erdogan, dovresti avere innanzitutto coscienza della storia, ma abbiamo capito che non ce l'hai. Noi, grazie alla forza che ci ha conferito il popolo, avendo preso in consegna questa volontà popolare, continueremo il nostro percorso al servizio della Nazione».
Parole come macigni, che difficilmente potranno chiudere questo capitolo senza conseguenze. Ma la diplomazia è al lavoro, ci sono troppi interessi che legano Turchia e Italia anche se, allo stesso tempo, ci sono questioni geopolitiche che negli ultimi tempi hanno reso Ankara un competitor dell'Italia su diversi fronti. A partire dalla Libia, dove Draghi ha rilanciato la presenza italiana mentre la Turchia, oltre aver mandato un contingente militare, ha aumentato la sua influenza stringendo stretti rapporti con il governo di Tripoli. Per non parlare poi della questione aperta sulle risorse di gas naturale nel Mediterraneo orientale, dove Eni e Total hanno iniziato le trivellazioni nella Zona economica esclusiva di Cipro. Ankara pretende la sua parte di risorse anche senza averne diritto e ha scatenato un conflitto diplomatico con l'Unione europea. Le prime tensioni sono cominciate nel 2018, quando alcune navi da guerra turche avevano bloccato la prospezione della nave Saipem 12000, di proprietà dell'Eni. Dopo le accuse di Cipro ad Ankara di aver violato il diritto internazionale, l'Unione europea ha varato una serie di sanzioni e misure restrittive nei confronti della Turchia. In questi scenari, come si vede, i rapporti sono un po' turbolenti e le frecciate a distanza tra il leader italiano e quello turco non hanno certo aiutato a distenderli. E pensare che tutto è cominciato lo scorso 6 aprile, con il famoso «sofà-gate», cioè l'incontro della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e del leader del Consiglio europeo, Charlel Michel, con il presidente turco ad Ankara. Nel sontuoso palazzo presidenziale, Von der Leyen è stata lasciata senza una sedia e si è dovuta accontentare di un divanetto distante, mentre Erdogan e Michel si erano accomodati ai posti d'onore uno accanto all'altro. Due giorni dopo, commentando l'imbarazzante situazione creatasi ad Ankara, Draghi aveva detto: «Con questi dittatori, chiamiamoli per quello che sono, di cui però si ha bisogno, uno deve essere franco nell'esprimere la propria diversità di vedute e di visioni della società. E deve essere anche pronto a cooperare, anzi, a collaborare per assicurare gli interessi del proprio Paese. Bisogna trovare il giusto equilibrio».
Parole che avevano fatto infuriare la Turchia, tanto da spingere il ministero degli Esteri di Ankara a convocare il nostro ambasciatore Massimo Gaiani. E ieri la questione si è arricchita di un nuovo atto con l'intervento in prima persona di Erdogan.
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