Il presidente della Camera suona il campanello: la parola all'onorevole Marco Pannella, del partito radicale. «Signor presidente, mai nella storia della Repubblica un Parlamento è stato così umiliato e calpestato come questo che lei oggi presiede: un governo che finge di essere di sinistra, preceduto da un altro governo espresso da questa stessa aula, che era di destra. Così, avete distrutto democrazia e regole, avete calpestato i diritti civili dei rappresentati e dei rappresentanti, con una politica arrogante e sorda alla ragione. Avete mandato deliberatamente a morire migliaia di cittadini selezionati per il crematorio in base alle loro caratteristiche biologiche. Oggi si parla di schedare di fatto tutti i cittadini attraverso applicazioni cellulari del tutto inutili contro la pandemia ma utili per la schedatura certamente amata da un governo che ha già introdotto la spia Trojan nei nostri cellulari, oggi si finge di saper far ripartire un Paese dopo averlo dissanguato».
No, calma. Marco Pannella è morto. Sono quattro anni ormai. Oggi, cioè ieri, avrebbe compiuto novanta anni. Ma ci ha lasciati e di lui resta un vuoto reale, fisico, molto più che una banale nostalgia. Pannella non piaceva a tutti, o almeno non piaceva sempre, irritava talvolta anche me che scrivo. Ma in un solo punto era imbattibile, è stato un uomo indispensabile alla nostra storia di persone che dicono di amare la libertà. E questo, la sua passione - eccessiva, dunque il minimo indispensabile per muovere le montagne - per i diritti civili, dal diritto dei disabili a traversare la strada a quello di chi, avendo scelto di morire, merita rispetto (tema controverso, se meriti aiuto anche attivo). Marco Pannella nacque nel 1930 a Teramo e si chiamava Giacinto, che lui cambiò in Marco e fece parte di un gruppo di uomini straordinari di cui oggi s'è persa la traccia, nati e cresciuti nei parlamentini universitari in cui si fecero le ossa un po' tutti di quella generazione. Fra loro c'erano i liberali liberisti libertari e anche un bel po' libertini.
Quando Marco è morto sono tutti corsi a santificarlo, ma la verità è che non lo hanno mai voluto ministro, non lo hanno mai voluto davvero come pezzo forte di una democrazia fondata, non a chiacchiere, sulla libertà. Fu l'uomo del divorzio, anche se il titolo di campione per averlo proposto e imposto al gelo di comunisti e democristiani, vada al socialista Loris Fortuna, ma Pannella aveva con tutte le sue trasgressioni deliberate e provocanti i digiuni, la marijuana per farsi arrestare, essere dalla parte di tutte le minoranze etniche e sessuali, essere anticlericale ma amico anche dei papi sopraffina qualità dello spariglio e del contropiede. Era un politico di razza politica, era cresciuto a pane e politica insieme a una generazione che fece la Repubblica, ma la sua opera politica più importante fu la fondazione del Partito Radicale nel 1955, insieme a Mario Pannunzio che creò il settimanale Il Mondo. A quella fondazione parteciparono molti giovani che venivano dalla sinistra liberale, ma fu lui l'elemento di rottura, di scandalo, di sorpresa, nuovo, totalmente nuovo. Ebbe anche un periodo di grande vicinanza con Silvio Berlusconi che aveva ben fiutato il comune terreno di difesa assoluta, quasi ossessiva, se occorre anche paranoide della libertà.
È per questo che ci siamo permessi di iniziare questo breve ricordo del compleanno di Marco, ora che non c'è più e ci manca, con l'immaginaria invettiva che forse avrebbe fatto alla Camera, o al Senato, o in piazza, o al Parlamento di Bruxelles per chiamare alle armi le residue anime della democrazia e gridare con tutta la forza possibile che oggi la democrazia appare intubata e in coma farmacologico, usurpata da sconosciuti già battuti alle urne, confiscata alla scelta degli elettori padroni e non sudditi, umiliata con balletti di decreti, editti, pandette, grida manzoniane, sciocchezze, errori criminali reiterati, mentre il Paese è immobilizzato, ammanettato, ai domiciliari.
Confuso nella conoscenza. Offeso nella scienza. Orripilato per la mattanza dei sacrifici umani e dei camici bianchi. Pannella non avrebbe permesso che il perdurante film dell'orrore passasse così, fra un'omelia papale, un discorsetto presidenziale e un farfugliamento governativo. Avrebbe tuonato, si sarebbe legato, forse ferito perché faceva di sé carne di comunicazione. E invece di mummificarlo come stanno facendo in queste ore con la scusa del novantesimo anno della sua vita finita, sarebbero stati costretti ancora una volta ad odiarlo, a fingere sdegno per la sua inaccettabile esagerazione.
Abbiamo bisogno di un'orgia di democrazia, sregolata, eccessiva, insopportabile e invincibile come quella che Marco Pannella manteneva in vita, ma temiamo che il maledetto virus abbia offerto il pretesto per sterilizzare tutto.
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