Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un messaggio all'Amministratore Delegato e Managing Partner di The European House - Ambrosetti, Valerio De Molli, ha affermato che è arrivato il momento, per l'Ue, di avere una politica estera e di sicurezza comune.
Per il Presidente, l'Unione Europea deve ora dare il suo contributo “alla causa della pace, dello sviluppo, della sicurezza e della stabilità internazionale” perché “la globalizzazione dei mercati comporta che avvenga contemporaneamente alla diffusione dei diritti, per il raggiungimento della piena dignità delle persone in ogni angolo del mondo. Di qui la necessità di una politica estera e di sicurezza comune”. Mattarella ha concluso affermando che questa è una materia in cui l'Ue “si è mossa, sin qui, troppo timidamente e che rappresenta, al contrario, la naturale continuazione di quella sovranità condivisa destinata anche a garantire, ai cittadini europei, la prosecuzione di una esperienza di crescita e progresso che non ha eguali. L'Europa non può permettersi di essere assente da scenari ed eventi le cui conseguenze si ribaltano sui Paesi che la compongono e dalla definizione delle regole che presiedono alle relazioni internazionali”.
Le parole del Capo dello Stato non rappresentano più, stavolta, una voce nel deserto. A fargli eco c'è il coro pressoché unanime della politica: il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi sostiene infatti che “anche noi come europei dovremmo fare una nostra riflessione approfondita sia sul futuro della nostra politica verso l'Afghanistan e l'intero Medio Oriente, sia sulla capacita dell'Europa di essere protagonista della politica mondiale”. Le parole di Berlusconi al Corriere della Sera non lasciano spazio a fraintendimenti. Secondo lui “la crisi afghana è solo l'ultima, in ordine di tempo, fra le situazioni internazionali che ci richiamano alle nostre responsabilità. Quante volte, negli anni, di fronte a un problema mondiale abbiamo detto (Kissinger fu tra i primi) che l'Europa deve parlare con una sola voce”.
Dalla parte opposta anche Paolo Gentiloni, attuale commissario Ue all'Economia, è dello stesso avviso. In particolare Gentiloni sottolinea proprio come l'esperienza afghana sia stata una sorta di punto di rottura tra l'Europa e gli Stati Uniti, o per meglio dire tra Washington ed i suoi alleati europei della Nato. Dopo l'Afghanistan, dice ancora Gentiloni, è “molto difficile che l'Europa conservi la sua grande forza culturale, commerciale, economica, senza avere una consistenza geopolitica maggiore, senza essere capace di avere una politica estera comune e senza avere la possibilità di intervenire insieme in alcune zone vicine ai nostri interessi economici”. Qualcosa che andrebbe fatto, però, “senza ovviamente cancellare la Nato e neanche le forze armate dei singoli Paesi”.
Più autonomia, quindi, o, per meglio dire, più sovranità decisionale – qualcosa che il presidente francese Emmanuel Macron voleva già da tempo, pur sempre avendo in mente di sfruttarla a vantaggio della Francia – ma senza mettersi in contrapposizione con la Nato, che resta un organismo fondamentale per la sicurezza del Vecchio Continente.
Lo ha ribadito anche il ministro della Difesa Lorenzo Guerini dopo l'incontro tenutosi ieri al Pentagono con il segretario alla Difesa degli Stati Uniti Lloyd Austin. “Serve una maggiore assunzione di responsabilità da parte dell'Unione, non in contrapposizione, ma in piena sinergia con la Nato. La promozione dello sviluppo di capacità militari europee deve essere interpretata come naturale e coerente azione di rafforzamento del pilastro europeo dell'Alleanza Atlantica” ha detto il ministro. Ribadendo che, nonostante l'epilogo drammatico della missione in Afghanistan, “la Nato resta il pilastro della nostra sicurezza”, ma “va rilanciata sfruttando il processo di revisione strategica in corso”. Riferendosi al programma “Nato 2030” discusso al summit di Bruxelles dello scorso 14 giugno.
Più autonomia strategica e più attenzione a una politica estera comune, significa porre le basi per la nascita di uno “strumento Difesa” comune. Qualcosa che c'è già, in embrione, nel campo di alcune missioni internazionali: pensiamo a Eunavfor Med, o a Eunavfor Somalia. Per non parlare della Task Force Takuba: una missione europea nata senza l'Ue che ora è stata ampliata per effettuare operazioni antiterrorismo e di addestramento delle forze di sicurezza locali nel Sahel.
Non c'è possibilità per l'Unione Europea, nel mondo attuale, di essere un gigante economico senza avere una forza geopolitica maggiore, e questa si ottiene solo attraverso una politica estera e di Difesa coordinate e unite. Se l'esercito europeo, pochi anni fa, poteva essere considerato una chimera, ora questa possibilità non è più così lontana dal potersi realizzare, ed è stato proprio il precipitoso ritiro dall'Afghanistan a farla tornare in auge.
L’Ue sta infatti pensando di formare una forza di intervento rapido per poter assicurarsi una certa autonomia in situazioni di crisi. L’idea è stata lanciata dall’Alto rappresentante dell’Unione, Joseph Borrell, che in un’intervista all’agenzia di stampa francese Afp lo scorso 22 agosto aveva inizialmente parlato di un “corpo di spedizione di 50mila uomini, in grado di agire in circostanze come quelle che stiamo vedendo in Afghanistan” per poi, in una successiva intervista al Corriere della Sera del 30 agosto, ridimensionare i numeri parlando di una “First Entry Force composta di cinquemila soldati”.
Nei giorni scorsi anche il commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, aveva ribadito, ancora una volta, questa linea affermando che “la tragedia in Afghanistan evidenzia anche la dipendenza dell’Europa dalla politica estera e di sicurezza di Washington. Siamo arrivati a una svolta. La difesa comune europea non è più un’opzione. L’unica domanda è quando”.
Una possibilità, quella di una Difesa europea comune, che recentemente si sta guardando di buon occhio anche da oltre Atlantico.
Washington, che ha sempre avversato la nascita di un “esercito europeo”, ora sembra aver cambiato idea e pensa che, tutto sommato, per una questione di “burden sharing”, l'Europa è ora che si doti di un unico strumento militare con un'unica direzione di politica estera, purché, è bene sottolinearlo, la Nato resti il mezzo principale a cui si affidano i Paesi europei per la propria difesa.
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