L’uomo incappucciato, la collana, il movente mancante. Il mistero del "serial killer" della Bergamasca

Nel 2016 gli omicidi di due donne, a pochi chilometri di distanza, rimasero insoluti. Ma Gianna Del Gaudio e Daniela Roveri non furono uccise dalla stessa persona

L’uomo incappucciato, la collana, il movente mancante. Il mistero del "serial killer" della Bergamasca

Gianna Del Gaudio, Daniela Roveri, Yara Gambirasio, Sharon Verzeni: sono i nomi delle donne - nel caso di Yara di una ragazzina - uccise in un raggio di meno di 50 chilometri. Questo ha fatto sospettare l’opinione pubblica dell’esistenza di un serial killer nella Bergamasca, ma naturalmente le cose stanno in maniera molto diversa, e non solo perché per Yara c’è un uomo condannato in tre gradi di giudizio e per Sharon c’è un giovane che ha confessato ed è in attesa di giudizio.

Ci sono molti elementi per cui dubitare di un serial killer, ma è innegabile che oltre alla vicinanza geografica, la fine di Gianna Del Gaudio e quella Daniela Roveri abbiano qualcosa in comune. A partire dal fatto che entrambi sono casi insoluti. “L'unico movente che mi viene in mente è un omicidio su commissione. Sicuramente non parlerei di serial killer, che convince veramente molto poco”, dice a IlGiornale Chiara Camerani, psicologa esperta in criminologia e psicopatologia sessuale, direttrice del Cepic (Centro Europeo Psicologia Investigazione Criminologia) e docente universitaria.

L’omicidio di Gianna Del Gaudio

È il 26 agosto 2016, il giorno di sant’Alessandro. A casa di Gianna Del Gaudio si fa festa, c’è una cena in famiglia perché è l’onomastico di una delle nuore. Gianna ha 63 anni, è un’insegnante in pensione sposata da decenni con Antonio Tizzani, ex capostazione anche lui pensionato. Dopo la mezzanotte, quando figli e nuore sono appena tornati a casa, Gianna va in cucina a rassettare, mentre il marito si mette a innaffiare i fiori in giardino.

Poi un urlo squarcia la notte: come avrebbe stabilito successivamente il tribunale, è la voce di Tizzani, che trova un uomo incappucciato in casa intento a rovistare nella borsa della moglie e successivamente vede Gianna riversa in terra, in una pozza di sangue. Chiama concitato e disperato il 118 e il figlio, ma per Gianna non c’è niente da fare: è morta nei primi scampoli del 27 agosto.

“Quando si commette un crimine - chiarisce Camerani - solitamente si fa una valutazione costi-benefici. Il marito Antonio Tizzani ha parlato di un ipotetico aggressore che avrebbe cercato di rapinare la signora Gianna Del Gaudio. La villetta non era completamente isolata: a mezzanotte il figlio e la nuora escono dalla casa, e a mezzanotte e quaranta Tizzani lo contatta per riferirgli che la madre ha subito un’aggressione. Quindi abbiamo un autore che, nell’arco di trenta minuti, avrebbe atteso che delle persone uscissero - quindi con il rischio di trovare altri svegli - per andare ad aggredire un’ex insegnante in pensione e un ex ferroviere in pensione. Per rubare cosa? Solo una collana. Lascia un po’ perplessi a livello di movente, di rischio e di modalità. Difficile che un piccolo criminale si assuma una responsabilità del genere per rubare così poco. La spiegazione che si apprende dalla stampa lascia molti dubbi”.

Gli inquirenti si mettono subito al lavoro, ma non trovano sulla scena del crimine l’arma del delitto. L’arma viene trovata nei giorni successivi poco distante da casa, infilata in una busta, che in precedenza conteneva mozzarelle, insieme a un paio di guanti in lattice: è un cutter, un taglierino. Il killer ha colpito Gianna alla gola, aggredendola alla spalle, con quello: un solo colpo molto potente, tanto che la punta dell’arma si è rotta quando ha incontrato la vertebra cervicale. Dalla casa non manca nulla, con l’eccezione di una collana che Gianna indossava sempre, ma non ci sono segni di strappo sul suo collo. Si sarebbe svolto tutto in pochi minuti.

L’uomo incappucciato

Chi è l’uomo incappucciato che ha descritto Antonio Tizzani? Una delle nuore avrebbe raccontato in casa che, di notte, in più occasioni, avrebbe visto un uomo incappucciato sotto casa sua. Ma in tribunale poi avrebbe spiegato di aver inventato tutto per paura di stare la notte da sola in una casa nuova, mentre il marito, che lavora in ferrovia come aveva fatto il padre, svolgeva i turni di notte.

E allora gli inquirenti si chiedono: è mai esistito l’uomo incappucciato? Inizialmente credono di no, e rinviano a giudizio per omicidio Tizzani, anche perché i Ris di Parma trovano sul cutter una traccia di Dna dell’uomo su una delle pochissime parti non insanguinate. Inoltre alcuni testimoni parlano di un presunto alterco violento.

Il processo al marito Antonio Tizzani

L’ipotesi che viene ventilata al processo è che Tizzani quella sera potrebbe aver bevuto un bicchiere di troppo e che, dopo una litigata con la moglie, l’avrebbe colpita. Ma alla fine del processo di primo grado nel 2020 e quello di secondo grado nel 2022, la conclusione a cui arrivano i giudici è una: Tizzani viene assolto per non aver commesso il fatto. “La mia versione è sempre stata la stessa e la ripeterò all'infinito perché è la verità. In tutti questi anni non ho mai smesso di credere nella giustizia, anche perché sono figlio di un poliziotto. A mia moglie rivolgo un pensiero: che aiuti a trovare il suo assassino”, ha detto Tizzani, come riporta Il Giorno.

Per i giudici il Dna sul cutter è un “mero indizio” (per cui non ha escluso neppure la contaminazione), mentre le testimonianze di una lite vengono smontate: perché i testimoni avrebbero sentito la lite ma non l’arrivo dell’ambulanza dopo la chiamata di Tizzani? Inoltre, stando ai risultati medico legali, il killer avrebbe dovuto essere più forte e imponente della vittima, mentre Gianna Del Gaudio e Antonio Tizzani non avrebbero presentato grosse differenze in quanto a fisicità. Inoltre Tizzani dopo l’omicidio è completamente pulito e nessuno si è lavato in quella casa.

Il delitto resta senza colpevole. “Ci sono state tantissime perquisizioni nella casa sotto sequestro, moltissimi accertamenti tecnici e intercettazioni. Le indagini hanno avuto un'impostazione accusatoria: fin dall'inizio sono state sempre a senso unico contro Tizzani. Non mi spiego perché le indagini non siano state svolte a 360 gradi”, ha commentato a Fanpage Giovanna Agnelli, legale di Tizzani.

L’omicidio di Daniela Roveri

Alcuni mesi dopo l’omicidio di Gianna Del Gaudio accade però un altro omicidio a soli 7 chilometri di distanza. È quello di Daniela Roveri, manager 48enne, che viene freddata a Colognola, quartiere di Bergamo il 20 dicembre 2016. La modalità è simile a quella usata dal killer di Gianna: Daniela viene aggredita alle spalle e l’aggressore le recide la carotide con tanta forza che ai soccorritori la donna sembra quasi decapitata. Sulla scena del crimine manca all’appello la borsa di Daniela, con il suo smartphone, ma si pensa a un depistaggio.

“Nel discorso della serialità spesso c'è anche un’analisi, una vittimologia particolare - spiega Camerani - qui abbiamo persone diverse con età diverse, in condizioni diverse. L'unica cosa che c'è in comune sono le aggressioni di sera, rapide, però se noi andassimo a fare probabilmente la stessa valutazione in una zona qualsiasi d’Italia, forse troveremmo diversi casi di omicidio simili tra loro. Ci devono essere degli elementi comuni per poter fare un case linking e qui non ci sono dal punto di vista vittimologico particolari elementi comuni: l'unico elemento comune è l’accoltellamento, ma visto che noi siamo in una nazione dove, fortunatamente, le armi da fuoco sono vietate, quella con il coltello è generalmente una delle modalità omicidiarie più comuni, quindi non abbiamo un elemento così discriminante. Inoltre non c'è nessun elemento rituale”.

Non ci sarebbe quindi nessun serial killer: “L'unico elemento che che potrebbe far pensare a un serial killer - ma ripeto ho dei serissimi dubbi - è quello della persona che arriva a commettere un atto così grave per ottenere qualcosa di così poco prezioso, quindi non uccide per un guadagno ma sembrerebbe più per appagare un piacere personale. Statisticamente parlando, in quel caso gli oggetti portati via sono dei souvenir. Neppure un feticcio, perché in questi omicidi mancano gli elementi sessuali”, nota Camerani.

C’è però un parallelismo interessante tra i due casi insoluti: sul cutter che ha ucciso Gianna e sulla scena del crimine di Daniela viene trovato un Dna maschile che, comparato, indica la presenza dello stesso aplotipo Y. Può voler dire tutto e può non voler dire nulla: è una suggestione potenzialmente da approfondire, ma non necessariamente questo tratto in comune indica lo stesso killer. In altre parole, ci potrebbero essere due killer, magari lontani parenti tra loro. “In merito al Dna, direi che la cosa migliore sarebbe confrontarsi con un tecnico: a volte l’opinione pubblica parte con cose intuitive che sembrano ovvie, ma non è sempre così”, aggiunge Camerani.

Gli omicidi Del Gaudio e Roveri restano quindi insoluti, ma alla luce del fatto che sempre più cold case vengono riaperti, non è detta l’ultima parola.

"Non vedo perché in futuro non sia possibile giungere a una soluzione del caso: facciamo sempre e comunque avanzamenti dal punto di vista scientifico, quindi non è detto che non riusciremo a essere magari ancor più definiti e chiari sul Dna o altro”, conclude Camerani.

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