Silvia Romano, la giovane cooperante rapita in Kenya il 20 novembre del 2018 e liberata in Somalia due giorni fa, è arrivata in queste ore a Milano, nel quartiere Casoretto, periferia est del capoluogo lombardo dove vive in un appartamento con la madre e la sorella. "Sto bene, rispettate questo momento", avrebbe detto la ragazza scendendo dall'auto, intorno alle 17 di questo pomeriggio, in mezzo alla folla che attendeva il suo rientro dopo 18 mesi di prigionia in Africa.
L'arrivo
Come riportato dal Corriere della sera, la ragazza sarebbe rientrata insieme alla madre a e alla sorella su un'auto grigia, scortata dai carabinieri, indossando ancora l'abito della tradizione somala verde smeraldo e con il capo coperto. Sotto il loro appartamento, ad attenderle, oltre a numerosi giornalisti, anche la polizia locale, che ha chiuso al traffico per alcuni minuti. Al suo arrivo, la giovane è stata salutata dai passanti e dai vicini di casa, che la attendevano ai balconi. La ragazza, poco dopo essere entrata nel suo appartamento, si sarebbe affacciata a una finestra, salutando con la mano e sorridendo. E a chi le chiedeva dalla strada come stesse, Silvia mostrava il pollice in su.
La protezione
In base alle disposizioni per contenere il nuovo coronavirus, la giovane dovrà rimanere in isolamento domiciliare per i prossimi 14 giorni e in queste ore si sta valutando quale tipo di tutela, fissa o mobile, assegnare alla giovane cooperante ora che ri trova a Milano. A farlo sapere sono alcune fonti delle forze dell'ordine e si attende la decisione della prefettura. La volontaria, che si trovava in Kenya con l'associazione "Africa Milele", nelle ultime ore è stata oggetto di critiche sui social per aver comunicato la decisione di essersi convertita all'islam. Al momento, di fronte al palazzo dove la cooperante vive, sono parcheggiate quattro auto della polizia e due dei carabinieri, con gli agenti e i militari disposti davanti al suo portone.
Il volantino
Poche ore fa, vicino all'abitazione della ragazza, era stato trovato un volantino affisso sul lato posteriore dell'edicola del quartiere Casoretto che diceva: "Tanti di noi, stufi di dover pagare i riscatti, specie di questi tempi. Salvare una vita, meritevole, per metterne a rischio molte altre? Stanchi di subire le ingerenze politiche delle Ong. Buonismo, perbenismo e politicamente corretto non equivalgono a solidarietà". Interpellato da alcuni cronisti, l'edicolante ha spiegato di non aver scritto lui quel messaggio e ha provveduto a rimuoverlo.
Il sacerdote: "La gente non pensa"
Ad attenderla, comunque, c'era anche don Enrico Parazzoli, da pochi mesi parroco della chiesa di Santa Maria Bianca della Misericordia, frequentata dalla famiglia di Silvia. Il sacerdote, che ha suonato le campane alla notizia della sua liberazione e quando è atterrata a Roma, sarebbe stato oggetto di critiche: "Mi hanno detto che ho trasformato il campanile in minareto, ho ricevuto qualche critica dai parrocchiani e dagli amici. Il problema è che la gente non pensa, semplifica e questo non è compatibile con la complessità de mondo".
E sul ritorno di Silvia è intervenuto anche il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana: "Tutti, in questo momento, la sentiamo nostra figlia. Una nostra figlia che ha corso dei pericoli enormi, che ha avuto coraggio e forza d'animo".
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