L' imperativo dell'inclusione, che a partire dagli anni '90 ha via via preso il posto dell'ideale dell'eguaglianza, ha completamente sovvertito le gerarchie di priorità classiche della sinistra. Al posto degli operai e delle donne, sono subentrati gli immigrati e le minoranze sessuali: inizialmente solo lesbiche, gay, bisessuali, poi anche transessuali, queer, intersessuali, asessuali, e da ultimo pure pansessuali e kinky, dove kinky significa appassionati di giochi erotici più o meno perversi o sadomasochistici. E al posto delle lotte per il salario, l'occupazione, la casa, la sanità, sono subentrate le grandi «battaglie di civiltà», per i diritti civili e il riconoscimento delle minoranze sessuali, collettivamente riunite sotto il grottesco acronimo LGBTQIAPK+.
Questa scelta pro-inclusione delle minoranze piuttosto che pro-eguaglianza è strana, anche se comprensibile. È strana, perché milioni di donne sono escluse dal mercato del lavoro per mancanza di posti (abbiamo il tasso di occupazione femminile più basso fra i paesi dell'Unione Europea). È strana, perché sanità, asili nido e abitazioni sono da decenni emergenze sociali drammatiche. È strana, perché il più grande gruppo sociale escluso sono i tre milioni di occupati (e relative famiglie) che lavorano in condizioni para-schiavistiche, una realtà di cui i campi di raccolta in cui è stato lasciato morire Satman Singh sono solo la punta dell'iceberg. Ed è tanto più strana, quella scelta, se pensiamo che una frazione consistente di quei tre milioni di para-schiavi è costituto da immigrati.
Ma è anche comprensibile, quella scelta di dimenticare le vecchie battaglie per l'eguaglianza. Puntare tutte le carte sui diritti degli immigrati, degli omosessuali, dei bisessuali e transessuali ha l'enorme vantaggio di costare nulla o quasi nulla, mentre affrontare anche uno solo dei grandi problemi sociali del paese come l'iper-sfruttamento, la mancanza di posti di lavoro per le donne, i guai della sanità pubblica avrebbe costi economici e politici giganteschi. Se la sinistra provasse a farlo, dovrebbe trovare le risorse economiche necessarie, e sarebbe costretta a scontentare interessi consolidati, o a imporre anni di sacrifici. Meglio allora puntare su battaglie di principio unioni civili, diritto alla genitorialità, leggi sull'omotransfobia, salvataggi in mare che hanno costi modesti, e consolidano il senso di superiorità etica.
Costi modesti? Qualcuno potrebbe obiettare, pensando all'enorme impegno economico che richiederebbero vere politiche di accoglienza, che evitassero ai migranti di essere stipati negli hotspot, consegnati a cooperative che lucrano sui finanziamenti pubblici, trattati come schiavi nei campi di raccolta di frutta e ortaggi, consegnati a imprenditori senza scrupoli nei settori dove prolifera il lavoro nero. Ma è proprio questa la grande ipocrisia forse sarebbe più esatto chiamarla truffa ideologica che da trent'anni va in scena in campo progressista: si predica l'accoglienza finché si è all'opposizione, ma quando si arriva al governo (e la sinistra, da sola o in compagnia, lo è stata in circa 20 degli ultimi 30 anni) si puntano tutte le carte sulla poesia dei salvataggi in mare, con tanto di storie commoventi, servizi televisivi, romanzi epici sulle traversate in mare, e si dimentica la (costosissima) prosa dell'accoglienza vera e propria, quando il migrante diventa immigrato, e ha bisogno di assistenza, di iter burocratici veloci, di accompagnamento e tutela sul mercato del lavoro.
Migranti, immigrati
Anche la terminologia tradisce l'inganno. Si preferisce parlare di «migranti», perché migrante evoca l'avventura del viaggio, l'epica dei salvataggi, il coraggio di chi parte e l'eroismo di chi salva, mentre «immigrati» rischia di far pensare alle paure e ai problemi sociali suscitati da milioni di persone abbandonate a sé stesse nelle periferie, o avviate a ingrossare l'esercito industriale di riserva che fornisce manodopera a basso costo nei settori ad alto impiego di lavoro nero.
Soprattutto: occuparsi degli immigrati, stanziando risorse adeguate e combattendo para-schiavismo e sfruttamento, ha costi economici e politici altissimi; aiutare i migranti ad arrivare sani e salvi in Italia come si fece una decina di anni fa con l'operazione Mare Nostrum ci rende fieri della nostra umanità, e costa infinitamente di meno.
Ritroviamo qui, pari pari, il meccanismo che avevamo incontrato parlando delle strategie delle grandi imprese e delle grandi organizzazioni. Sottoscrivere l'agenda woke consente sensibili miglioramenti di immagine a costi molto contenuti, mentre migliorare la qualità dei prodotti o le condizioni di lavoro dei dipendenti comporta sempre costi ingenti.
C'è una differenza, però, fra le imprese commerciali e le imprese politiche. Il «fatturato» di un'impresa politica, qual è un partito progressista, è dato dal consenso elettorale, ovvero dal numero di voti. E il consenso elettorale non dipende solo dall'immagine, ma anche dagli interessi di cui ci si fa difensori, ovvero da quello che di te pensano gli elettori. È un po' come se, a determinare l'immagine di un'impresa, non contribuissero solo la pubblicità e il gradimento dei consumatori, ma anche le opinioni dei suoi dipendenti.
È qui che il follemente corretto ha inguaiato la sinistra. Ponendo in cima alla graduatoria le minoranze sessuali e i migranti, l'azienda-sinistra ha finito per ignorare quasi totalmente il punto di vista dei suoi dipendenti-elettori storici, ovvero quei ceti popolari che, da una trentina di anni, vedono l'immigrazione come un problema di sicurezza e di concorrenza e del follemente corretto non condividono né capiscono le ragioni.
Anche per questo, oltre che per la sua inconsistenza logica, il futuro del follemente corretto è perlomeno incerto. Può darsi che, trascinata e confusa da una stampa progressista che vede solo «diritti, diritti, diritti», la sinistra non si accorga che il follemente corretto la allontana dalla gente comune, e continui sulla strada di sempre.
Ma è anche possibile che il percorso di ascolto dei ceti popolari avviato da Elly Schlein non sia di pura facciata, e alla fine consenta al follemente corretto quatto quatto di scivolare fuori dall'agenda della sinistra.Sarebbe un bene per la sinistra. E un sollievo per tutti.
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