La democrazia è impossibile senza giustizia per tutti nell’esercizio della libertà. L’autonomia è impensabile senza che cittadini seri, attivi, propositivi siano messi in grado di fare la propria parte in un dialogo non fra sordi con le istituzioni. L’ideologia obnubila il cervello. Pensiamo alla scuola, usata per battaglie ideologiche e politiche senza tregua, intesa come un enorme sistema di ammortizzazione sociale, depredata da decenni di saccheggi e malizia politica e lobbistica che l’hanno di fatto squassata, resa inefficiente, obsoleta, noiosa e anattraente per larghi strati dell’utenza. Le (rare) eccezioni confermano la regola. Eppure la scuola costa oltre 50 miliardi di euro l’anno, una cifra enorme, seconda solo a quanto lo Stato spende per la Sanità.
Parallelamente, alcune affermazioni di sopraffina intelligenza si sono rivelate parte del problema: “La scuola per tutti è solo quella pubblica”, dove pubblico si identifica insipientemente con statale; “lo Stato garantisce l’offerta educativa con la buona scuola pubblica statale; qui c’è posto per tutti; qui non manca nulla”, tranne la libertà di scegliere l’educazione che si desidera per il proprio figlio; “scuola statale inefficiente? Si taglino i contributi alle paritarie”…quali? 500 euro annui in media a fronte di 10.000 per le statali; “i soldi pubblici servono per la scuola di tutti non per quella dei preti e delle suore”…alla quale si iscrivono volentieri alunni musulmani, buddisti, induisti... ; “I docenti che insegnano nella scuola privata si prendano il lusso di farlo; per i poveri colleghi che lavorano doppio e sodo c’è la cattedra sicura nella scuola pubblica statale con uno stipendio assicurato per sempre sino alla morte”…azzerando la libertà di insegnamento e bilanciando il lavoro doppio e sodo di alcuni pochi con il lassismo generale; “se l’allievo disabile vuole la scuola pubblica paritaria, si arrangi con le spese del sostegno, se andrà nella scuola statale avrà il docente di sostegno garantito”… appena si troveranno i 50mila che mancano.
Ci si abitua a tutto, anche alla discriminazione e alla stupidità: è solo una questione di tempo. La confusione legittima l’inerzia: mentre si consumano le ingiustizie perpetrate su allievi, genitori e docenti, è sempre più compromesso quel pluralismo che solo può tenere viva la speranza di una libertà di scelta educativa possibile, in un ambiente …pulito ma anche libero.
Oggi gli studenti sono discriminati, per ragioni economiche, nel loro diritto di apprendere. Per questo aspetto, l’Italia – in buona compagnia con la Grecia - è totalmente fuori dall’Europa. Chi lo nega mente, sapendo di mentire. Infatti sono i genitori che hanno il diritto di “istruire ed educare i figli” (art. 30 della Costituzione), il diritto inviolabile per cui “hanno il diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli” (art 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, del 1948, di cui si è celebrato il 70° anniversario); il dovere degli Stati Europei è di: “rispettare il diritto dei genitori di provvedere nel campo dell’insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche” (art 2 della Convenzione Europea sulla dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo).
Ciò premesso, la libertà di scelta educativa necessita di un pluralismo educativo composto da scuola pubbliche statali e scuole paritarie anch’esse pubbliche di diritto e di fatto, tant’è che licenziano migliaia di allievi con titolo equipollente ai compagni della scuola statale. L’esistenza della sola scuola pubblica statale si chiama monopolio educativo e la Repubblica cede il passo al Regime. Ci fosse almeno la carta igienica nella scuola di regime…gli alunni l’hanno chiesta al Ministro. Strano che con una spesa di 10.000 euro annui pro capite, tale spesa non sia proponibile a bilancio…Infatti lo studio degli economisti di Civicum con Deloitte, uscito sul Corriere della Sera il 23 settembre 2018 (a conferma dei dati riportati nello studio Il diritto di apprendere, Ed. Giappichelli 2015), lo dice chiaramente, numeri alla mano: un allievo che frequenta la scuola pubblica statale costa ai cittadini, in tasse a loro carico, 10 mila euro annui, mentre per un allievo che frequenta la scuola pubblica paritaria, in molti casi con risultati brillanti riconosciuti da Eudoscopio 2018, i cittadini spendono 480 euro annui. Ergo, le scuole paritarie fanno risparmiare allo Stato 6 miliardi di euro annui.
Con la forza dello studio e della ricerca è stato ampiamente dimostrato che l’unica strada possibile per uscire da una situazione che può solo peggiorare è quella di riconoscere alla famiglia il suo diritto, ossia quello di educare liberamente i figli. Come? Attraverso il costo standard di sostenibilità: alla famiglia venga data una quota (che si colloca su 5.500 annui per studente) da spendere per l’istruzione dei figli. Sarà poi la famiglia stessa a decidere dove spendere tale quota, se in una scuola pubblica statale o in una scuola pubblica paritaria. Il ruolo dello Stato in tutto questo? Quello di garante e controllore, non di gestore e controllore… di se stesso. Solo in questo modo il sistema scolastico italiano riuscirà a emergere da una situazione di costante allarme rosso. Solo in questo modo la scuola non sarà più considerata come il più importante tra gli ammortizzatori sociali: chi non sa cosa fare, va a insegnare. Le famiglie potranno scegliere, gli allievi avranno garantito un servizio decisamente migliore e non saranno in balia di frequenti cambiamenti di insegnanti; a questi ultimi sarà possibile scegliere dove esercitare la propria professione, se nella scuola pubblica statale o in quella pubblica paritaria, con uno stipendio uguale, come avviene nel resto dell’Europa. L’ingiustizia produce sempre ingiustizia a catena se si considera la discriminazione professionale dei docenti.
Anche l’illusione di sanare gli esuberi indiscriminati, prodotti dal ridurre la scuola ad ammortizzatore sociale, con una serie di concorsi ad hoc, è caduta con il concorsone dei maestri di infanzia e primaria Sono tenuti fuori dal Concorsone indetto dal Ministero dell’Istruzione solo le maestre ed i maestri delle scuole paritarie primarie e dell’infanzia, che hanno concluso gli anni di studio entro il 2001/2002. Alla prova possono partecipare coloro che hanno lavorato per 36 mesi negli ultimi otto anni solo nelle scuole statali; pertanto sono esclusi i docenti delle scuole paritarie, con la conseguenza di una grave discriminazione professionale a danno di 2000 lavoratori che, con gli stessi titoli dei colleghi statali, hanno prodotto gli stessi effetti: alunni regolarmente promossi e inseriti nel Servizio nazionale di istruzione. Questo concorsone, che avrebbe l’obiettivo di fermare il precariato, in realtà farà diventare precario chi non lo era mai stato prima.
Quindi chi in questi ultimi anni ha lasciato un contratto a tempo indeterminato presso la scuola pubblica paritaria in cui lavorava da anni, per non essere depennato dalle graduatorie ad esaurimento, e ha accettato un contratto a tempo indeterminato presso la scuola pubblica statale, sperando nelle promesse di una ragionevole soluzione, si accinge a perdere il posto di lavoro e ad attendere un eventuale nuovo concorso, ma ordinario. È evidente che la palese discriminazione dei maestri e delle maestre diplomati ante 2001/2002 sia conseguente alla confusione che alberga nel mondo della scuola italiana. Occorre cominciare ad acquisire un dettaglio dei docenti che ci sono in Italia e delle cattedre disponibili per grado scolastico, disciplina e città, perché sicuramente oggi sappiamo che la domanda non incontra l’offerta e allora si può promettere, illudere… fare le proprie campagne elettorali sulla pelle dei poveri disperati che ci credono.
In conclusione: non ci può essere libertà di scelta educativa se non viene garantita la libertà economica per il suo esercizio.
Per questo, l’unico modo per rispettare fedelmente il dettato costituzionale del diritto all’istruzione e del diritto alla libertà di scelta educativa è quello di riconoscere una dote a ciascuno studente, pari ad un costo standard di sostenibilità ossia all’ammontare minimo di risorse da riconoscere a ciascuna scuola pubblica – statale e paritaria - sulla base di parametri certi. Chi si sente legittimato ad alimentare la confusione, altro non fa che discriminare: se ne assuma la propria la responsabilità. E se chi discrimina è lo Stato, è proprio finita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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