Il sogno del bimbo: un'officina

Un foglio che svolazza qua e là, tra le prime foglie morte e l'erba polverosa di un giardino milanese di periferia

Il sogno del bimbo: un'officina

Un foglio che svolazza qua e là, tra le prime foglie morte e l'erba polverosa di un giardino milanese di periferia. Forse è fuggito da una cartella, o dalla borsa di una maestra. Poi il vento si ferma, si può afferrare il foglio, sottrarlo al suo destino di cartaccia. E scoprire che il foglio è un romanzo in dodici righe. Una autobiografia futura, un sogno ad occhi aperti. Il ritratto che un bambino milanese degli anni Venti del Ventunesimo secolo fa di sé. Roba da gridare al miracolo. Non vuole fare il calciatore, né andare al Grande Fratello o in Parlamento, non sogna una laurea da ingegnere o una cattedra da maestro o il reddito di cittadinanza. Il suo sogno è sporcarsi le mani. L'officina sarà il suo regno. E la sua casa la immagina dentro l'officina.

Il prato polveroso dove il foglio arriva portato dal vento ha uno sfondo che sembra scelto apposta: lo scheletro di una fabbrica che le ruspe da qualche giorno stanno demolendo, ormai resta solo la facciata, esile come nei set dei film western; e una ciminiera, per ora intonsa. Era lo stabilimento dei biscotti Plasmon: una delle ultime fabbriche abbandonate a venire distrutta per fare posto alle case, estremo rudere di una Milano orgogliosa del lavoro manuale, fiera di sporcarsi le mani.

Il bambino che sogna di sporcarsi le mani non ha un nome. Il foglio a quadretti non riporta né una sigla né una classe: eppure è la bella copia, senza errori. La grafia è da seconda, terza elementare. Il tema assegnato dalla maestra è un sempreverde dei compiti a casa: «Cosa mi piacerebbe fare da grande e perché». Il nostro giovane eroe lo ha svolto senza perdersi in fronzoli. «Da grande mi piacerebbe fare il meccanico, lavorare in una grande officina. Mi piacerebbe lavorare col mio amico Pier Giuseppe. Vorrei lavorare con tante attrezzature diverse. Mi piacciono tanto le auto d'epoca, ma anche le auto moderne. Vorrei l'officina a Milano. Vorrei una casa dentro l'officina».

Come in certe poesie di Carducci, ogni verso è un quadro. Bisognerebbe avere l'autore lì sul prato per fargli un mucchio di domande, in cambio della restituzione del tema. Una su tutte: chi è Pier Giuseppe, l'amico meccanico? E come ha fatto a farti innamorare della sua tuta bisunta d'olio, del suo banco degli attrezzi? Quanto tempo sei stato a guardare da sotto in su il pianale di una macchina? E in questi tempi di auto bistrattate ed odiate, di mobilità dolce e di monopattini, chi ti ha insegnato a perderti nel suono che fanno solo certe Alfa Romeo? Sarà stato lui, il solito Pier Giuseppe. Che forse non saprà mai di essere stato l'artefice di un destino, o semplicemente di un sogno.

La vita, come al solito, farà poi di testa sua. Un giorno, forse, il bambino di oggi avrà la sua grande officina, il suo banco degli attrezzi in bell'ordine: e amen se avrà dovuto rassegnarsi a rinunciare al capitolo finale del suo programma, piazzare letto e salotto tra le auto da riparare. Che vuoi farci, piccolo amico: sono cose che le mogli non sanno apprezzare. Quel che conta è che sarai lì, con la tua tuta chiazzata di nero, ad auscultare un motore come un cuore. Dovrai capire sempre più di microchip e schedemadri, e magari imparare ad aggiustare macchine che viaggiano da sole, silenziose come una caffettiera, mosse dall'idrogeno o da qualche altra energia oggi sconosciuta. Ma saranno sempre auto, e tu il loro meccanico. E scoprirai la saggezza di un tuo vecchio, cinico predecessore: «L'importante è che si rompa sempre qualcosa».

Il vento torna a soffiare sul prato, il foglio a quadretti vola via. E sul retro, rivela un'altra sorpresa. Il piccolo sognatore non si è limitato a raccontarla, la sua officina: l'ha anche disegnata, armato di matite a colori.

La grande insegna, una finestra con le tendine. E chi entra a fare aggiustare la sua auto? Un poliziotto, al volante della Volante! È proprio un tipo controcorrente, il nostro grande meccanico degli anni che verranno.

Luca Fazzo

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