“Beh, 5mila euro non sono una fortuna ma, di questi tempi, a chi è che non farebbero comodo?”. Sergio Zoppo, classe 1935, è l’ultimo discendente di una stirpe ormai estinta: quella degli arrotini. Sorride al di là del bancone della sua bottega storica perché le sciagure del presente non hanno scalfito l’amore per il suo antico mestiere, né la voglia di rimboccarsi le maniche. E scrolla le spalle, “mi sento come l’ultimo dei Mohicani, ma non m’arrendo, alla mia età ancora alzo la serranda e tengo duro”. Dopo di lui non ci sono né figli, né discepoli che seguiranno le sue orme, la sua bottega forse diverrà l’ennesimo fast-food multietnico. Uno dei tanti che s’incontrano a passeggio per le vie di quel rione che, anni fa, era il fiore all’occhiello delle maestrie artigiane: l’Esquilino.
Il quartiere non ha reagito bene alla notizia del presunto finanziamento che il Comune di Roma sembra determinato ad elargire ai rom che vorranno fare impresa. Soprattutto perché una misura del genere, seppur palliativa, potrebbe dare un po’ di ossigeno alle attività più sofferenti. Come ci racconta Enrico Corcos, presidente dell’associazione “Botteghe Romane”, in questo quadrante della Capitale si concentrano le attività di maggior pregio. Ma, purtroppo, “le botteghe romane stanno vivendo un periodo di grossa crisi, gli artigiani non ce la fanno più e sono costretti a chiudere”. Ecco che, allora, quel contributo di qualche migliaia di euro potrebbe servire a pagare un paio di mesi d’affitto, oppure ad ammodernare il negozio e perché non anche a fare un po’ di pubblicità. Anche perché, ci spiega Virgilio, che oggi gestisce la macelleria che era prima del nonno e poi del padre, “dare quei soldi ai rom è un rischio”. Il timore è che una volta incassata la prebenda, i nomadi non rispettino gli accordi. Il rischio truffa, d’altronde, è stato segnalato anche dai consiglieri comunali di Fratelli d’Italia, Maurizio Politi e Francesco Figliomeni, che hanno già annunciato la presentazione di una mozione ad hoc.
Dall’altro lato dello stradone che collega Santa Maria Maggiore a San Giovanni c’è una vecchia edicola, è di Massimo. “Cosa ne penso? Mi sembra un’idea bizzarra e sconculsionata”. Lui, infatti, non vede “la comunità rom intezionata a mettere su un’attività” e così la misura rischia di trasformarsi “nell’ennesimo flop”. Sono tutti d’accordo nel dire che l’assistenzialismo non risolve nulla e che sarebbe meglio puntare sulla cultura e la formazione delle nuove generazioni di rom. Insomma, un progetto che non si può realizzare dall’oggi al domani, ma richiede tempo. “Il Comune – dicono poi all’unisono – dovrebbe investire qualcosa anche su di noi o, per lo meno, tenere pulite le strade perché questa sporcizia non aiuta gli affari”.
La voce si è sparsa anche tra i tanti imprenditori stranieri che hanno letteralmente colonizzato il quartiere con minimarket, tavole calde, rivenditori all’ingrosso di abiti e accessori tecnologici ma anche bar, parrucchieri e persino negozi di biciclette. Ed è proprio un giovane cinese che vende bici elettriche a due passi da piazza Vittorio a mettere il dito nella piaga: “Non è giusto, perché ai rom sì e agli altri no?”. Nell’esercizio accanto c’è una frutteria bengalese, lungo la strada ne abbiamo contate almeno una decina, “la concorrenza – ammette – è spietata”. E lui si sente discriminato dal provvedimento capitolino: “Quei soldi dovrebbero esser dati a tutti”. O comunque non certo ai rom, replica un indiano che vende tessuti, “perché loro sporcano e rubano”. E poi, aggiunge, “sono un popolo che non lavora”.
Torniamo nella bottega di Sergio, lui
è ancora lì, chino sul tavolo da lavoro. Lo circondano decine e decine di attestati rilasciati nel corso degli anni da questa e quella autorità. Però, dice, “sono solo pezzi di carta, a me non aiuta nessuno, eccetto Dio”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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