Soumahoro, l'uomo nuovo della sinistra

Si chiama Aboubakar Soumahoro e da tempo è un personaggio pubblico. Quello che ti chiedi è se avrà in futuro un ruolo politico non marginale. La sua è una scommessa e apre uno spazio inedito nella sinistra italiana

Soumahoro, l'uomo nuovo della sinistra

Si chiama Aboubakar Soumahoro e da tempo è un personaggio pubblico. Quello che ti chiedi è se avrà in futuro un ruolo politico non marginale. La sua è una scommessa e apre uno spazio inedito nella sinistra italiana. È il leader, o se si preferisce il portavoce, degli Invisibili in Movimento. Il nome ricorda il romanzo di Ralph Waldo Ellison. Invisible Man è un classico, spesso dimenticato, della letteratura americana del Novecento. È l'America che non ti vede, non ti riconosce, ti passa accanto e si volta dall'altra parte. È l'America degli anni '50, quella dove la segregazione è legge. Gli invisibili di Ellison sono i neri. «Sono un uomo invisibile. Sono un uomo di sostanza, di carne e ossa, fibre e liquidi e potrei anche dire di possedere una mente. Sono invisibile semplicemente perché la gente rifiuta di vedermi».

Gli invisibili di Soumahoro sono in Italia. Non è solo una questione di pelle. Questo sindacalista di 41 anni, nato a Bétroulilié in Costa d'Avorio, allarga i confini a tutti i lavoratori che lo Stato non vede, il welfare non raggiunge, con contratti fragili e senza reddito di cittadinanza. Sono braccianti, stagionali, spedizionieri, fattorini, manovali, fino a toccare, negli ultimi mesi, anche i commercianti travolti dalla pandemia. L'obiettivo dichiarato di Soumahoro è arrivare al governo. Detta così sembra un'ambizione esagerata, ma proprio perché il suo movimento non si accontenta di fare da «portaborse» al Pd è interessante capire adesso di cosa stiamo parlando, in modo schietto, senza pregiudizi e senza liquidarlo troppo in fretta con un'alzata di spalle.

Gli invisibili si muovono in una sinistra dove il Pd fatica a trovare qualcosa che assomigli a un'anima e per troppo tempo si è identificato con il «partito degli statali». I tentativi di Enrico Letta di costruire un'identità assomigliano, per ora, alle formule magiche di un'apprendista stregone. Il risultato raggiunto è di disorientare e innervosire Draghi. L'azione di Soumahoro può togliergli voti e aprire nuovi scenari? È tutto da vedere. Qualcuno pensa che il movimento degli invisibili sia solo un'altra versione delle «sardine». Possibile. Questo però dipende anche dal leader. Soumahoro piace alle «sardine» ma forse non è una «sardina». Arriva in Italia alla fine degli anni Novanta e lavora come bracciante e muratore. Riesce a frequentare l'università e si laurea in sociologia con una tesi sulla condizione dei lavoratori immigrati. Si dedica al sindacato e sceglie l'Usb, il sindacato di base, molto più estremista della Cgil, pronto alla lotta dura e allo «sciopero selvaggio». Resta lì per più di dieci anni. A luglio scorso decide però di tagliare i ponti. Lo accusano di essersi «imborghesito». La sua battaglia di bandiera diventa il permesso di soggiorno per tutti.

Soumahoro mette insieme pezzi di identità. Il punto di riferimento di partenza sono le lotte di Giuseppe Di Vittorio contro il caporalato. È la sua bandiera più remota. Poi ci aggiunge la conquista delle casematte gramsciane: «La costruzione di un'egemonia culturale degli invisibili». Non va allo scontro a mani nude, ma lavora sul lungo periodo. Come le «sardine» sfrutta social, televisione e quel che resta della stampa. Fabio Fazio lo adotta, Gad Lerner lo benedice, Fanpage gli dà voce e L'espresso lo mette in copertina. È la giostra che ti garantisce visibilità. Soumahoro di suo ci mette la sfida all'altro movimento, quello grillino, di cui spera di prendere l'eredità e vecchie tattiche pannelliane come lo sciopero della fame.

Come le «sardine» sceglie Salvini come avversario di riferimento. Questo è scontato, ma visto che a confrontarsi con il leader leghista sono in troppi non gli dà grandi risultati. Ora ci prova con Draghi e aspetta l'autunno.

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