I nostri lettori, soprattutto quelli che ci seguono da più tempo, sanno bene quanto ci stia poco simpatico Roberto Speranza, sciagurato ministro comunista della Salute durante l'emergenza Covid, prima di Conte e poi di Draghi. E sanno anche quanto questo Giornale abbia criticato le sue politiche in materia di contrasto alla pandemia. Nei suoi confronti quindi nessuna complicità e nessuna benevolenza, ma ciò detto troviamo corretto che la Procura di Roma abbia chiesto per lui, al Tribunale dei ministri, l'archiviazione da una lunga serie di accuse, tra cui anche quella per omicidio, a chiusura di un'inchiesta nata da esposti collettivi.
Lo troviamo corretto perché crediamo che le decisioni di un governo, di qualsiasi governo - amico o nemico che sia -, non debbano sottostare al giudizio della magistratura laddove non sia chiaro il dolo o la malafede. In altre parole, siamo perché la politica debba essere libera di prendere decisioni politiche e che queste debbano essere soggette solo al giudizio degli elettori, che se scontenti puniranno loro nell'urna i responsabili, come è infatti successo con Speranza, Conte e compagni vari.
Perché attenzione, se così non fosse, allora dovremmo sostenere che non sarebbe stato poi così sbagliato mandare a processo cosa che infatti non è avvenuta i vertici della Regione Lombardia per la gestione delle prime ore dell'emergenza Covid; che sarebbe giusto condannare Matteo Salvini per la decisione politica, condivisa e ratificata dal governo di allora, di bloccare l'ingresso ai porti italiani delle navi delle Ong (e che quindi l'attivista Carola Rackete bene ha fatto a forzare il blocco, speronando una motovedetta della Guardia di Finanza); dovremmo poi prepararci alla possibilità che Giorgia Meloni, o qualcuno del suo governo, sia processata per la strage di Cutro, o un domani per la decisione di aprire un centro di accoglienza in Albania.
No, in assenza di dolo e colpa le decisioni politiche prese da un governo che gode di una maggioranza parlamentare sono sovrane e ingiudicabili in un'aula di tribunale.
Altrimenti non saremmo in una Repubblica parlamentare, bensì giudiziaria. Cosa che in parte è già, ed è esattamente ciò che si sta cercando di arginare con una riforma della giustizia che chissà mai che un giorno o l'altro veda la luce.
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