Ma per lo spread il governo è finito

Ma per lo spread il governo è finito

Lo spread è tornato a farsi sentire. Che per il mercato ha un significato preciso: il governo Conte Due è morto. Ieri lo spread ha chiuso in calo, a 166 punti base. Ma l'impennata di giovedì, fino a 178, non è destinata a restare isolata. Non a caso in settimana il Tesoro per vendere Btp a sette anni ha dovuto offrire 0,91% contro lo 0,60% precedente. Lo spread a questo livello è pari a 40-45 punti in più della zona di sicurezza dove era rimasto per circa tre mesi. Se si osserva un grafico un po' più lungo, da quest'estate in poi per esempio, così da avere sott'occhio l'andamento dello spread dalla crisi del governo gialloverde a oggi, si possono fotografare quattro fasi. La prima è quella in cui il livello 200 raggiunto nel governo Conte Uno (ricordiamo che lo spread misura il differenziale di rendimento tra i Btp e i titoli tedeschi: 200 significa che i Btp costano allo Stato il 2% all'anno in più dei Bund) si impenna e balza fino a 242: è l'8-9 agosto, quando le elezioni politiche sembrano lo scenario più probabile. La seconda fase è il progressivo e continuo calo che inizia con il Conte Due e arriva a metà settembre fino a 132. La terza è la stabilità intorno a quota 140. La quarta è la salita di questi ultimi giorni, iniziata con il mese di novembre.

Lo spread non è altro che la misura del rischio-Paese percepito dal mercato, cioè dagli investitori che detengono il debito pubblico italiano (il 30% circa è in mano a grandi fondi stranieri). E questa quarta fase, in cui siamo dentro, ci dice proprio questo: i titoli di Stato italiani tornano a fare paura. O, in altri termini, tornano a dirci quello che - in condizioni generali diverse ma nella sostanza analoghe - ci dicevano alla fine del Papeete: si torna alle elezioni.

E perché sale lo spread? Perché a chi compra i Btp nel mondo non garba l'idea che in Italia arrivi al governo un partito sovranista, filo-russo, anti-europeista e anti-euro. Il che, a torto o a ragione, è quello che trasmette ai mercati la Lega di Matteo Salvini. Perché il ragionamento sottinteso è elementare: se si torna a votare, vince la Lega. Ma altrettanto semplice è l'altro sottinteso di questo «pensiero del mercato»: dalle elezioni in Umbria, è iniziata la fine del governo giallorosso. Certificata in queste ultime ore dalla crisi dell'Ilva, che contiene in sé tutti gli elementi (dal pasticcio dello scudo penale alle divisioni interne all'esecutivo sulla politica industriale) di una maggioranza inconsistente. L'avanzare zoppicante della manovra di bilancio, la cui mancanza di prospettiva e programmazione svelano più di ogni altra cosa che l'orizzonte di questo esecutivo non è mai stato quello di fine legislatura, completa il quadro.

Di qui il ragionamento dei mercati di cui sopra. Che poi a temere la Lega al governo gli investitori abbiano o meno ragione, questa è un'altra storia. Ma il mercato, come noto, cerca sempre di guardare avanti. E pare che cominci a vederci chiaro.

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