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È un festival "Italy first". E la nostra musica trionfa

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E dire che sarebbe l'uovo di Colombo: il Festival della canzone italiana che celebra la canzone italiana. Stavolta, quatto quatto, ci sta provando Claudio Baglioni e da stasera vedremo come andrà a finire: grande successo o risultato accettabile oppure tonfo da mani nei capelli. Però l'idea di fondo non fa una grinza: Italy first, l'Italia per prima, per richiamare (senza nessun confronto, per carità) lo slogan di Trump. Eppure da almeno vent'anni Sanremo lo ha fatto quasi di malavoglia, cercando sì belle canzoni ma provando a nobilitarle con poderose iniezioni di Hollywood o di internazionalità purchessia. Una sterminata passerella di divi, divetti e di-vani, di artisti magari stracotti ma sicuramente strapagati che avevano il solo scopo di dare un profilo più «alto» a una manifestazione che tanta critica e parecchio benpensantismo consideravano provinciale. E così vai con i cantanti un tempo famosi e gli attori una volta celebri a far smaltire il jetlag al Royal (o a Montecarlo) prima di andare in scena. L'importante era che il marchio fosse straniero e si potesse far svolazzare a tutti i costi la bandiera del glamour sul pennone dell'Ariston. Volete mettere i Grammy, dicevano. Eppure ai Grammy la musica non anglosassone è drammaticamente ai margini, quasi fosse l'inevitabile riempipista, il benevolo contentino che la grande discografia elargisce ai mercati minori. Stavolta il Festival di Sanremo fa come i Grammy: la musica locale diventa globale. «Ho chiesto alle star straniere, da Sting a James Taylor, di eseguire naturalmente il proprio nuovo brano ma di aggiungere anche un omaggio alla canzone italiana». Magari Sting canterà Muoio per te su testo in italiano di Zucchero, originariamente Mad about you (dal suo disco The soul cages del 1991). James Taylor duetterà con Giorgia, forse su Solo. Insomma, circa mezzo secolo fa le superstar straniere come Louis Armstrong o Wilson Pickett o Dionne Warwick erano addirittura in gara, senza sentire complessi di inferiorità. E un gigante come il vibrafonista Lionel Hampton rilesse tutte le canzoni del Festival 1968 senza alcun imbarazzo.

I tempi sono cambiati e forse, complice la crisi oppure l'esaurimento di una formula già molto rodata, stavolta il Festival celebra la ragione per cui è nato: la nostra canzone. E non soltanto quella pop da classifica, anche quella - Baglioni dixit - «che ha fatto la sigla dei cartoni animati». Vedremo, anzi ascolteremo. Mal che vada, si sarà risparmiato qualche inutile cachet.

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