Stazione Termini, la "tassa" sul biglietto si paga a rom e abusivi

Alla stazione Termini rom e abusivi spadroneggiano indisturbati tra le biglietterie automatiche pretendendo denaro dai viaggiatori in cambio di informazioni

Stazione Termini, la "tassa" sul biglietto si paga a rom e abusivi

Insistono fino allo sfinimento, fino a che non ti arrendi e gli consegni la loro “mancia”. Un euro è sempre troppo poco, soprattutto se hanno a che fare con i turisti, la loro preda preferita. In quel caso si aspettano di più: almeno una banconota da cinque euro. Si muove così il “popolo” di rom, magrebini e africani che presidia le biglietterie automatiche della stazione Termini di Roma.

Li riconosci al volo, ognuno di loro ha in mano una penna, un tocco di serietà che cozza con la natura improvvisata del servizio che offrono. Il loro compito è quello di aiutare chi viaggia a comprare i ticket ferroviari, in cambio chiedono o pretendono, a seconda dei casi, del denaro. Una specie di tassa praticamente impossibile da evadere. È questa l’ennesima piaga dello snodo ferroviario più affollato della Capitale, già saturo di borseggiatrici rom. L’ultima ad essere colta con le mani nel sacco, anzi nello zaino di un turista, sui vagoni della metro A è una giovane bosniaca all’ottavo mese di gravidanza.

Ma se quello delle baby borseggiatrici è un fenomeno ormai endemico, l’ultima frontiera dell’abusivismo creativo è questo “customer care” che oscilla tra accattonaggio e vera e propria illegalità. Il confine con la truffa o l’estorsione, poi, è davvero sottile. Perché se è vero che spesso sono gli stessi viaggiatori ad accettare l’aiuto degli abusivi, in molti casi lo fanno credendo che si tratti di un servizio ufficiale per il quale occorre pagare. Invece ad offrirlo gratuitamente c’è il personale ferroviario che, teoricamente, dovrebbe costituire un deterrente. “Spesso ci provocano o ci intimano di andarcene perché dicono che gli rubiamo il lavoro”, racconta sconsolata una giovanissima operatrice.

Di lì a poco, anche noi veniamo avvicinate da un trentenne con l’accento meridionale. Decidiamo di farci dare una mano per capire meglio il meccanismo. Gli diciamo dove dobbiamo andare e a che ora vogliamo partire. In pochi minuti, ecco il nostro biglietto. Concluse le operazioni ci spiega di essere un abusivo. “Aiuto solo le persone a fare i biglietti, romani, turisti, chi mi capita”, ci tiene a precisare. “Se mi volete lasciare qualcosa mi fa piacere”, ci dice prima di scucirci qualche moneta. “Loro puntano ai cinquanta centesimi a persona che guadagnano aiutando i viaggiatori alle biglietterie automatiche, ma vi assicuro che a fine giornata guadagnano più di me”, si sfoga il dipendente di una nota compagnia ferroviaria. In effetti basta guardarsi attorno per capire che c’è lavoro per tutti, nonostante i controlli. Poco lontano uno di loro viene lautamente ricompensato da un uomo australiano. “Gli ho lasciato cinque euro, ma non avevo capito si trattasse di un abusivo”, confessa il turista mentre si allontana in direzione dei binari. Ma le mance possono essere ancora più consistenti. “Arrivano a regalargli fino a cinquanta euro”, ci assicura una guardia giurata.

“L’accattonaggio non è reato, ma se ti mettono le mani in tasca sì”, sbotta un poliziotto in borghese. È appena intervenuto per proteggere un giovane giapponese, avvicinato e incalzato con insistenza da una cricca di africani. Il gruppetto lo ha praticamente accerchiato. “Sono i turisti, specialmente quelli che arrivano dall’estremo Oriente, il loro bersaglio preferito – ci spiega l’agente – perché non se l’aspettano e così possono ingannarli sul resto o addirittura rubargli il portafogli”. Passano pochi minuti e la banda è di nuovo al suo posto. Del poliziotto non c’è più neanche l’ombra, e così decidiamo di rivolgerci alla security privata. Veniamo guardate come pazze quando segnaliamo il ritorno degli abusivi : “Noi non possiamo farci nulla - dicono allargando le braccia - abbiamo le mani legate”.

Questo spiega l’atteggiamento sfacciato della gang che sa perfettamente di non rischiare nulla. Nel giro di poco ce ne rendiamo conto personalmente, quando uno di loro, infastidito dalle nostre telecamere, ci trattiene intimandoci di cancellare il girato. E al nostro rifiuto chiama addirittura la polizia. Veniamo bloccate per quasi un’ora dagli agenti, quasi dovessimo essere noi a giustificarci.

Quando finalmente ci lasciamo la stazione alle spalle, quello che ci è capitato ci sembra surreale. Invece questa è la realtà, ed è solo una delle tante storie paradossali che si verificano quotidianamente sotto il cielo della Capitale.

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