Non riceverà un solo euro. Né dallo stupratore né dallo Stato italiano. È l'ennesima umiliazione che, dopo la rapina e la brutale violenza sessuale sotto casa, Roberta dovrà subire. La giustizia italiana ha, infatti, stabilito che la donna non ha diritto ad alcun risarcimento. Come racconta la Stampa, il tribunale di Torino glielo ha negato interpretando, in modo a dir poco discrezionale, una direttiva della Comunità Europea. "Per i giudici torinesi - si legge - la donna non avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per ottenere quel risarcimento direttamente dall’uomo che l'ha violentata".
È il 22 ottobre del 2011. Roberta sta tornando a casa, al termine di una lunga giornata di lavoro. Scende dall'auto per aprire il box sotto casa quando viene aggredita. Il balordo, un 40enne italiano, la assale alle spalle. Inizia l'incubo: la violenza carnale, poi la rapina. Lo stupratore viene condannato a 8 anni e due mesi di carcere. Ma per Roberta non c'è niente. Non un euro di indennizzo per quello che ha subito sulla propria pelle. Si rivolge, quindi, al Tribunale civile di Torino per chiedere che la presidenza del Consiglio dei ministri la paghi per l'omessa attuazione della "Direttiva Ce numero 80 del 2004" che, come ricorda anche la Stampa, "impone agli Stati membri di garantire un adeguato ed equo ristoro alle vittime di reati violenti intenzionali". Il giudice, però, respinge il ricorso.
La direttiva prevede che le vittime di reati violenti intenzionali siano risarcite dallo Stato perché in molti casi "non possono ottenere un risarcimento dall'autore del reato, in quanto questi non può essere identificato o non possiede le risorse necessarie".
Ma, si legge sulla Stampa, per i giudici "aver subito un stupro e una rapina non dà diritto di per sé al risarcimento". La vittima è, infatti, chiamata a dimostrare che lo stupratore non sia in grado di pagare perché indigente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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