La ripartenza è di nome, ma non di fatto. Com'era facile prevedere, la decisione governativa di bloccare in maniera tanto drastica le attività produttive ha prodotto effetti devastanti. Ora lo attestano i dati diffusi da Confesercenti, che ha reso noti i risultati di un sondaggio commissionato alla Swg, secondo il quale il 72% delle imprese ormai ha formalmente riaperto, ma soltanto un italiano su tre ha ripreso ad acquistare.
Perché non si torna a produrre e consumare? Le ragioni sono molteplici: dall'impossibilità a muoversi all'impoverimento conosciuto da famiglie che non hanno avuto entrate per settimane (le partite Iva, certo, ma anche i dipendenti licenziati o in cassa integrazione). Adesso a soffrire maggiormente sono i ristoranti e i bar, ma le proteste vengono da ogni dove.
Tanti lamentano i costi connessi ai dispositivi di protezione e soprattutto alle opere di sanificazione. Il tutto mentre mancano le risorse che il sistema del credito avrebbe dovuto mettere a disposizione. Va aggiunto che per tante imprese è anche difficile indebitarsi se all'orizzonte si vedono solo nuove tasse, nuove norme, nuovi oneri burocratici.
Lo Stato ha ingessato d'imperio le attività private, impedendo a milioni di italiani di guadagnarsi da vivere. Non ha detto loro cosa si doveva evitare di fare, per il rispetto dovuto alla salute altrui: stare a debita distanza (specie nel caso di anziani e persone malate) e usare la mascherina al chiuso. Non ha fatto questo, ma ha semplicemente bloccato tutto, anche quelle attività che sarebbero potute rimanere aperte nel rispetto delle regole.
Ora, come sottolinea Confesercenti insieme ad altre associazioni, è difficile che il mondo della produzione e del commercio riescano a resistere. Ci vorrebbero un'ampia liberalizzazione unita alla sburocratizzazione del sistema, insieme alla cancellazione di vari oneri fiscali. Dopo tante settimane che hanno visto le imprese piccole e grandi lavorare sui loro conti e ingegnarsi a ripensare il proprio modello di business, pure lo Stato dovrebbe fare lo stesso. Al contrario, però, questo governo progetta una crescita ulteriore del settore pubblico e immagina perfino di statizzare larga parte del tessuto economico.
Quanti all'inizio del lockdown ci parlavano del '45, sottolineando come l'Italia uscì distrutta dal conflitto ma poi seppe risorgere (grazie al boom economico), ignoravano qualche dato elementare: a partire dal fatto che in quel tempo fare impresa era facilissimo e la pressione tributaria era risibile. Se oggi non ripartiamo, allora, è perché stiamo faticosamente rientrando in una «normalità» che era già molto corrotta.
Se vogliamo davvero sconfiggere la povertà che avanza e che è sempre più la questione cruciale della nostra società dobbiamo allora capire che l'Italia
di febbraio, quella precedente al virus, era davvero moribonda e che l'epidemia ha solo tolto un velo. Per ricostruire, al fine di dare un futuro ai giovani, bisogna dunque rimettere in discussione molte cose. Quasi tutte.
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