Quel titolo come un pugno

Il ritorno di Chico Forti in Italia è uno degli eventi più importanti di questi giorni e devo confessare che il titolo della prima pagina del Fatto Quotidiano di ieri (Benvenuto assassino) mi appare alla stregua di un pugno in faccia

Quel titolo come un pugno
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Il ritorno di Chico Forti in Italia è uno degli eventi più importanti di questi giorni e devo confessare che il titolo della prima pagina del Fatto Quotidiano di ieri (Benvenuto assassino) mi appare alla stregua di un pugno in faccia. Insomma, non produce un bell'effetto, e lo dice uno come me, uno che è stato spesso attaccato per i suoi titoli giudicati «forti» o «pungenti» o «irriverenti». Ritengo che una titolazione debba suscitare pure clamore, poiché serve fare discutere e serve fare vendere i giornali, inoltre fare casino a me è sempre piaciuto.

Tuttavia il titolo deve magari suscitare un sorriso o una risata, non di certo esso deve fare male. E quello in questione addirittura ferisce. E ferisce non soltanto Chico Forti, il diretto interessato, bensì chiunque si trovi nella sua situazione, e sono in troppi ad esserlo, ossia detenuto pur essendo innocente, al quale viene messa addosso una etichetta, che diviene un marchio, che non lascia scampo dal giudizio collettivo e dall'odio di coloro che non sanno o non comprendono che in galera ci finiscono persino quelli che colpe non hanno. Mi si potrebbe replicare: «Ma che ne sai tu che Chico Forti è innocente?». Opportuna osservazione. Non lo so se egli sia innocente nella misura in cui chi ha vergato quel titolo insultante non sa se Chico Forti sia effettivamente reo di omicidio. Di fatto tante anomalie e stranezze contiene questa storia. E vorrei fare presente quello che, a mio avviso, un dettaglio irrilevante non è: questo signore avrebbe potuto essere estradato 25 anni fa, tornare in Italia, avvicinarsi ai suoi familiari, ma si è rifiutato di dichiararsi colpevole di un assassinio che con fermezza afferma di non avere compiuto. Quindi Forti ha affrontato la detenzione in una delle carceri più dure del mondo e non per due anni o due giorni, il tutto per una questione di principio, di onore. Questa scelta ci consegna la misura di quest'uomo ed è pure in virtù di tutto ciò che trovo quel titolo orripilante.

Ma ora mettiamo pure il caso che Forti sia colpevole, che sia stato giudicato opportunamente. Bene. Pure se lo è agli occhi della redazione di Travaglio, costui non merita questo trattamento disumano. Io credo che Chico sia stato massacrato tanto duramente al suo rientro in patria soltanto perché si voleva colpire colei che ha reso il suo ritorno possibile, ossia Giorgia Meloni, la quale, mediante un'azione diplomatica che era stata tentata senza alcun risultato dai suoi predecessori, è riuscita a realizzare qualcosa che non chiedevano soltanto Chico Forti e i parenti di lui ma la stragrande maggioranza degli italiani, i quali si sono interessati alle sorti di Chico e provano quasi affetto per questo connazionale. Gente intelligente che non marchia a ferro e fuoco un essere umano. Criticare Meloni, inoltre, perché ha accolto di persona Forti è ridicolo. L'estradizione è un successo di questo esecutivo, in particolare del primo ministro. Dunque, non vedo perché ella non avrebbe dovuto farlo, ossia accogliere Chico. Lo avrebbe fatto pure l'ex ministro Luigi Di Maio se solo fosse stato in grado di riportare a casa Forti. I suoi vani tentativi furono celebrati dal Fatto Quotidiano, che allora, e parliamo solo di qualche anno fa, non definiva di certo Chico «assassino». Ho il sospetto che ora lo definisca tale poiché è stata Meloni e non Di Maio né altri a fare sì che Forti sia stato trasferito in Italia.

Infine, vorrei fare notare l'ennesima contraddizione di quella sinistra che se la prende con Giorgia perché saluta il detenuto.

Questa è la stessa sinistra che da settimane inveisce contro l'esecutivo accusandolo di essere indifferente alla condizione e al destino dei detenuti italiani all'estero e oggi, anziché constatare l'ottimo lavoro svolto dalla premier, sta lì a farle le pulci. Insomma, su, i progressisti facciano pace con il cervello, ammesso che ne siano muniti, ovvio. Il dubbio ce l'ho.

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