Trent'anni fa la vittoria di Berlusconi cambiò l'Italia

Esattamente trent'anni fa (27 marzo 1994) prese avvio la Seconda Repubblica in quanto un certo Silvio Berlusconi vinse le elezioni politiche contro tutti i pronostici, anzi contro tutti i sondaggi

Trent'anni fa la vittoria di Berlusconi cambiò l'Italia

Esattamente trent'anni fa (27 marzo 1994) prese avvio la Seconda Repubblica in quanto un certo Silvio Berlusconi vinse le elezioni politiche contro tutti i pronostici, anzi contro tutti i sondaggi che da allora fecero capolino sul proscenio mediatico: in un niente, dopo aver diffuso un dirompente ma trascurato videomessaggio in gennaio, Berlusconi in un paio di mesi si era inventato un'improbabile vittoria anche se della sua «discesa in campo» già si sapeva, tanto che un'impressionante ma anche snobistica offensiva mediatica contro di lui aveva già le vele spiegate. La creazione di Forza Italia ricostruì un riferimento per l'elettorato cosiddetto moderato rimasto orfano della Democrazia Cristiana e delle forze del pentapartito, spazzate via dalle inchieste di Mani pulite (e di Tangentopoli in tutto lo Stivale) che avevano indubbiamente spianato la strada alla «gioiosa macchina da guerra» degli ex comunisti guidati da Achille Occhetto, che a loro volta subirono una batosta elettorale così imprevista e devastante da costringerli a un ripensamento non si sa quanto terminato ancor oggi. Nei fatti, quella vittoria e quel bipolarismo contribuirono a plasmare intere generazioni di italiani mentre la politica cambiò per sempre, accelerando bruscamente attraverso gli strumenti del marketing, dell'immagine e della comunicazione. Quel 27 marzo fu un passaggio chiave anche perché altri vecchi o nuovi poteri rimasti spiazzati, da quello giudiziario a quello mediatico a quello economico, presero a ridisegnare un proprio ruolo e una propria dialettica più e meno democratica.

La campagna elettorale di quel 1994 fece comunque impallidire qualsiasi altra. Ne fecero parte, trattandoli solo di passaggio, l'arresto in febbraio di Paolo Berlusconi (fratello) e lo sfiorato arresto di Marcello Dell'Utri (collaboratore stretto di Silvio) dopo dei quali esordì il primo Berlusconi antigiudici della sua lunga carriera: «La sinistra utilizza i suoi uomini di riferimento nella magistratura», disse. Il procuratore capo di Milano, Francesco Saverio Borrelli, replicò a stretto giro di posta e lo schema si sarebbe replicato infinite volte.

In quei due mesi Berlusconi aveva stretto un patto al Nord con la Lega di Bossi (Polo delle Libertà) e dopo due giorni aveva fatto lo stesso al Sud con Alleanza nazionale di Gianfranco Fini (Polo del Buongoverno). Pur di portare a casa il risultato lasciò ad Alleanza nazionale il 55 per cento dei seggi uninominali e alla Lega ne cedette 7 su 10. Pochi capirono che la geometria variabile di quelle alleanze sarebbe stata la chiave della vittoria: la sinistra, infatti, non fece alleanze di alcun genere perché della nuova legge elettorale aveva capito poco.

Fu nella seconda decade di marzo che il forcing contro Berlusconi sfiorò l'apogeo. Repubblica diede spazio alle confessioni che il pentito Salvatore Cancemi aveva reso in realtà da tempo: si apprendeva che il mafioso Vittorio Mangano era stato impiegato come fattore nella villa di Arcore. Poi, il 21 marzo, il presidente della commissione Antimafia, Luciano Violante, si lasciò sfuggire con un cronista (Augusto Minzolini) che Berlusconi fosse indagato «in un'indagine di mafia su un traffico di armi e stupefacenti» e ancora, costretto alle dimissioni, ancora Violante disse che Forza Italia era «un manipolo di piduisti e del peggio del vecchio regime», e che il Cavaliere «ripete la parola d'ordine del fascismo e del nazismo quando morivano nei lager i comunisti, i socialisti e gli ebrei». Intanto un pm di Palmi faceva perquisire la sede romana di Forza Italia per avere l'elenco dei presidenti dei club e dei candidati alle elezioni, mentre a Milano la polizia giudiziaria chiedeva gli stessi elenchi.

Il big match di chiusura della campagna elettorale fu Silvio Berlusconi contro Achille Occhetto su Canale 5, moderati da Enrico Mentana. Berlusconi vestito come al solito, Occhetto (senza baffi, ma sembrava che li avesse lo stesso) in un marrone poco televisivo.

Nessuno saprà mai se tutto quel bailamme giudiziario, allora e sempre, rubò o regalò voti a Silvio Berlusconi: ma i voti arrivarono lo stesso, oltre ogni ipotesi e sondaggio. Che ci contassero in pochi, lo testimonia il fatto che La Voce di Montanelli, ancora il 27 marzo, riproponeva il dilemma politico in questi termini: «Nei salotti romani già da un paio di mesi si gioca sull'accoppiata che vede Prodi a Palazzo Chigi e Ciampi al Quirinale». Alle 22 si chiusero le urne. La destra aveva vinto con una maggioranza certa alla Camera, ma in bilico al Senato. La coalizione di Berlusconi superò il 40 per cento. I progressisti di Occhetto il 32,9. Vinse il Polo delle Libertà e del Buon Governo. Forza Italia al primo colpo divenne il maggior partito italiano con il 21 per cento dei voti. Il Pds si fermò al 20,4. La Lega all'8,5, Alleanza nazionale al 13,5, il Partito popolare all'11.

Verdi, Rete, Psi, Lista Pannella e Alleanza democratica non raggiunsero la soglia di sbarramento del 4 per cento: fuori. La puntata de Il rosso e il nero di Michele Santoro (Rai) fu una tragedia in diretta. Mani pulite, una rivoluzione, morti, suicidi, bombe: e il risultato era che al governo c'era Silvio Berlusconi.

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