Il matricidio, il carcere e la vita fuori. Filippo Addamo, che fu condannato a 17 anni di prigione per aver ucciso la madre Rosa Montalto, ha pagato ormai da tempo il suo debito con la giustizia. Intervistato da Franca Leosini in “Che fine ha fatto Baby Jane?” è apparso un uomo completamente diverso da quel ragazzo 23enne che nel 2004 rilasciò, dalla struttura carceraria, un’altra intervista per “Storie maledette”.
Non si tratta solo di un cambiamento legato a una questione anagrafica, ma di un cambio prospettiva, forse anche grazie al lavoro di reinserimento di cui il giovane, oggi 41enne, ha goduto in una prigione dell’isola d’Elba, una struttura carceraria pilota in cui è stato ospite. Ed è grazie a questa diversa prospettiva che oggi Addamo rilegge il suo reato. “L’ignoranza - ha spiegato - mi ha portato a decidere sulla vita di mia madre. Lo dovevo capire prima: non si deve comandare sulla vita di una persona. Indietro però non si può tornare. La mentalità con cui vedi le cose e cerchi di affrontarle, l’ignoranza per come pensi in quel momento… oggi non la penserei così”.
All’alba del 27 marzo 2000, nel cuore del centro storico di Catania, Addamo sparò infatti la madre, che aveva lasciato il marito per scappare con un amico del figlio. “Pensavo - ha raccontato - che ero io a dover riallacciare la famiglia. Vedevo che mio padre in quel momento non sapeva reagire. Cercavo di tranquillizzarlo, farlo stare calmo, perché credevo che potesse in qualche modo rovinarsi e mio fratello e sorella minori sarebbero rimasti senza un padre e senza una madre”.
Quella mattina, Addamo andò dalla madre, che oggi come ieri descrive come una “donna bellissima, solare, simpatica”, e lo fece recando con sé una pistola che disse di aver trovato in campagna. I giudici gli avrebbero riconosciuto la non premeditazione, ma hanno poi giudicato il suo omicidio come volontario, condannandolo a 24 anni di carcere, poi ridotti a 17. “Le avevo provate tutte, la volevo intimorire per farle vedere dove ero arrivato, ero sul punto di perdere la testa”, ha detto Addamo di quell’alba tragica in cui la madre trovò la morte. L’uomo ha anche spiegato di aver picchiato l’amico di cui la madre si era invaghita, perché credeva che stesse con lei solo per divertirsi.
Il cambio di prospettiva per Addamo sembra essere iniziato proprio in carcere. “Non so se sarei riuscito a sopportare il peso di aver ucciso mia madre - ha commentato - sapendomi in carcere, mi sono detto: sto pagando il mio debito con la giustizia”. E il suo è stato un percorso tranquillo, anche grazie al fatto che gli altri detenuti non sono stati con lui particolarmente duri, come invece spesso accade a chi compie un crimine come il matricidio. “Cercavano di capire perché l’avessi fatto - ha chiarito sui compagni di prigione - Qualcuno mi chiamava ‘il bambino d’onore’, altri ‘il bimbo simpatico’ e mi coccolavano, cercavano di tenermi occupato. Ho trovato molta umanità tra gli altri detenuti”.
Meno clemente il giudizio di Addamo nei confronti della sua famiglia, che fin dall’inizio parve averlo perdonato per il suo gesto.
“Qualcuno ha delle colpe, qualcuno mi ha usato come scudo, si è nascosto dietro di me - ha concluso l’uomo - Da mio padre sono stato abbandonato, da altri non ho ricevuto neppure una cartolina. Quando sono tornato a Catania, mi hanno fatto le feste. E in tutti questi anni dove siete stati?”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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