Cielo di Ustica, piccola isola desolata che dista appena trenta miglia marine dal nord della Sicilia. “India-Hotel 870, India Hotel 870 ricevete?”.
È il codice identificativo di un volo civile, operato dalla compagnia Itavia, che risuona nell'etere e rimbalza sui trasmettitori. La domanda viene ripetuta una, due, tre volte. A parlare è la torre di controllo di Roma/Ciampino, che seguiva quel volo decollato da Bologna, con due ore di ritardo, prima dell'approccio all'aeroporto di Palermo/Punta Raisi. Nessuna risposta. Silenzio radio. Sono le 21.04 del 27 giugno 1980.
Meno di cinque minuti prima, alle 20.59 e 45 secondi, qualcosa, qualcuno cade nel mare di Ustica. Un Dc-9 - bireattore da trasporto passeggeri a corto e medio raggio - con a bordo 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio, in tutto 81 anime. È quello dell’Itavia, Ih870. Quando cade in quel tratto di mare distante da ogni costa, probabilmente è in fiamme. Ma nessuno le vede, come nessuno si salva per raccontarlo. Si spegneranno all’impatto con l’acqua. Prima che la carlinga, sventrata in innumerevoli pezzi, scompaia tra i flutti. Non c’è nessun superstite. Solo 39 corpi verranno identificati. Gli altri restano in fondo al mare. A tremila metri di profondità.
Quando i frammenti di quell’areo sfortunato, che per molti si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, verranno ripescati sette anni dopo dall'Institut français de recherche pour l'exploitation de la mer - un’impresa "specializzata" che in seguito risulterà essere strettamente legata ai servizi segreti di Parigi - il flight data recorder dell'aereo dimostrerà che l’aereo, al momento della scomparsa dagli schermi, registrava valori assolutamente normali. Seguiva la sua rotta a una velocità di circa 323 nodi orari (800 chilometri all'ora), a una quota di 7.630 metri, con appruamento su 178 gradi. Nessuna anomalia nell'accelerazione verticale. Lo stesso veniva confermato dal "cockpit voice recorder", la famosa "scatola nera" (sebbene nera non sia, ma arancione con grandi scritte), che racchiudeva l'ultimo scambio di parole avvenuto tra il comandante Domenico Gatti e il copilota Enzo Fontana. Tutto normale fino a quel "Guarda! Cos'è?". A cosa potevano riferirsi due piloti di linea che vengono distratti e sorpresi nel cielo di Ustica?
Ipotesi di un disastro
Secondo alcuni, dev’essersi trattato di un cedimento strutturale. Improvviso però. Secondo altri, è scoppiata una bomba a bordo, perché negli Anni di Piombo si mettono le bombe, nelle banche, sugli aerei, sui treni, a destra e a sinistra. Secondo altri, pochi, potrebbe essersi trattato di uno scontro con un altro aereo, uno di quelli che rompono il muro del suono, e portano con se missili di tanti tipi: un jet militare. Sarà l'inizio di un lungo mistero italiano, fatto di ipotesi e depistaggi.
Una tesi suggestiva, ma non suffragata da prove coerenti, è quella di Andrea Purgatori, che sostiene la teoria secondo cui quella notte qualcuno avrebbe preso un "passaggio". E non stiamo parlando di un passeggero, ma di un aereo intero, un Mig-21 (nome in codice Nato "Fishbed"), caccia mono o biposto di fabbricazione sovietica. Questo Mig, il nostro, non è russo però: è libico. Stava prendendo un passaggio, secondo alcuni, per tornare a casa. Volando furtivamente sotto l'Itavia Ih870, in transito sulla rotta civile Ambra 14 , per ingannare il segnale dei radar e non avere rogne dalla Nato. Lo avrebbe seguito per un altro po', fino al momento della discesa su Punta Raisi. Poi si sarebbe sganciato, e avrebbe fatto rotta a tutta velocità verso le coste nordafricane. La sua provenienza, secondo alcuni, poteva essere la penisola balcanica, dove gli aerei dell’aeronautica libica facevano manutenzione. O forse, forse qualcos'altro. Qualcosa di più "grosso". La procedura di nascondersi sotto un aereo di linea sembra quasi una routine. E dato che quell'aereo è libico, e il governo italiano con la Libia del colonnello Gheddafi ha rapporti "particolari", oseremmo dire “peculiari" in quegli anni, (a differenza di Parigi che invece nutre una politica estremamente aggressiva, e lo vedremo poi nella guerra del 2011) non ci sarebbe nemmeno troppo da stupirsi. Se solo anche quella volta, il 27 giugno, il trucco avesse funzionato. E invece no.
Dalla base di Solenzara in Corsica, potrebbe essersi alzato in volo un Dassault Mirage che ha fatto tana. Lo ha visto, fa una virata brusca, si mette sulla sua coda e senza badare al Dc9 lancia un Aim-9 Sidewinder, un missile aria-aria a ricerca infrarossi che segue le fonti di calore del bersaglio. Lo raggiunge, esplode e lo porta giù. Ma qualcosa va storto. Perché il pilota del Mig fa “qualcosa” e ad andare giù sono in due. Questa è un’ipotesi. Un'altra è che gli americani, che hanno numerose basi in Italia nonché la portaerei Uss Saratoga alla fonda del porto di Napoli, abbiano fatto decollare uno paio dei loro F-4 Phantom dopo essere stati allertati da uno degli aerei spia che è in missione nei cieli italiani, e potrebbe aver intercettato qualcosa. La procedura è la stessa. Stesso è l’ingaggio del bersaglio e il tragico errore. Il caccia americano fa tana, si mette sulla coda del Mig e fa fuoco. Lo stesso missile aria-aria, un Sidewinder. E poi le fiamme in cielo e sul mare.
"Qualcosa" nel cielo però c'era
Nei cablo di quella notte, si farà accenno a degli americani: “Quando sono americani poi...”, dice un operatore radar. Altri cablo delle stazioni radar renderanno noto che c’era da “contattare qualcuno all’ambasciata americana quando sarà il momento”. Ma il momento, se mai è arrivato, è rimasto avvolto nel mistero, come la nazionalità degli eventuali caccia che, quella notte, solcavano i cieli d'Italia. Come quel “Guarda cos’è?”. Perché qualcuno, almeno chi volava quella notte, qualcosa lo ha visto. Lo ha visto il pilota del volo Itavia. Si è trattato di un istante sì, l’ultimo, ma il tempo di dire "Guarda” lo ha trovato. Forse da guardare erano i post-bruciatori di un caccia che fila via. Forse era una scia sottile, veloce come un missile. Ma la frase si tronca e non ha il tempo di una risposta. Perché l’aereo salta in aria e va giù per 7.000 metri, e poi giù ancora nella depressione del Condor, nel mare per altri 3.700. Quel qualcosa lo hanno visto anche tre piloti di caccia, in volo sugli F-104 dell’italiani decollati da Grosseto. Lo hanno visto perché squoccano 7300: segnale di emergenza generale. Due volte. L’ultima alle 20.33.
Nessuna verità
Nel 2007 Francesco Cossiga, al tempo della Strage di Ustica Presidente del Consiglio, dichiara al Corriere della Sera che la responsabilità dell’esplosione va attribuita a un missile francese. Non un missile come i Siwinder, bensì un missile “a risonanza e non a impatto”, destinato ad abbattere il velivolo libico su quale si "credeva viaggiasse Gheddafi". Il caccia francese che lo avrebbe lanciato, secondo le informazioni fornite a Cossiga e al sottosegretario Giuliano Amato, sarebbe appartenuto alla Marina. Dunque decollato dalle portaerei francesi Clemenceau o Foch, che secondo i resoconti incrociavano nel Mediterraneo. Non come la portarei americana che era alla fonda.
A distanza di quarantuno anni tanti nomi, Ambra, Marsala, Martina Franca, Saratoga, Clemenceau, Cossiga, Gheddafi, Carter, Sila, Ustica, Solenzara, Luciano, Mario, Ivo, Franco, Ezzedin Fadah El Khalil e tanti altri, ancora vorticano nella mente di chi vorrebbe sapere la verità. Alcuni erano nel cielo, vorticano e cadono nel mare, altri cadono sulla terra. Esalano l’ultimo respiro e rimangono in silenzio. Fino a oggi, fino a domani.
Schiacciati dall’omertà chissà per quanto altro tempo. Perché come potete ben capire, tutto ciò che avete letto, ancora oggi non è la verità. Ma solo il frutto di supposizioni. Supposizioni che lasciano una strage priva di colpevoli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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