L'Oms cambia le "dritte": "Seconda dose del vaccino anche dopo 6 settimane"

Solo in emergenze eccezionali i Paesi potranno aspettare a somministrare la seconda dose fino a sei settimane

L'Oms cambia le "dritte": "Seconda dose del vaccino anche dopo 6 settimane"

L’Organizzazione mondiale della sanità ha dato l’ok a ritardare la seconda dose di vaccino Pfizer fino a 42 giorni, ovvero sei settimane, a fronte delle tre previste, ma solo in casi di eccezionale emergenza. L’intervallo tra le due vaccinazioni potrà essere allungato solo se si presenteranno due casi di assoluta emergenza: problemi di fornitura del vaccino e situazione epidemiologica grave.

Ok dell'Oms a ritardare la seconda dose di vaccino

L’Oms ha fornito la raccomandazione in un documento del gruppo tecnico sull’immunizzazione Sage (Strategic Advisory Group of Experts on Immunization): “Al momento la raccomandazione è che l’intervallo tra le dosi può essere esteso fino a 42 giorni (6 settimane), sulla base dei dati degli studi clinici attualmente disponibili”. Attualmente l’intervallo tra la prima e la seconda somministrazione di vaccino è di 21 giorni, tre settimane, ma gli studi di Fase 3 hanno dimostrato che vi è efficacia protettiva dal dodicesimo giorno dopo la prima iniezione. Quindi, l’Oms ha dato la possibilità, in casi del tutto eccezionali, di sfruttare le prime dosi disponibili, anche se vorrà dire ritardare le seconde somministrazioni di vaccino. Di fronte a problemi di fornitura o situazione epidemiologica grave, i Paesi potranno seguire questa indicazione.

Nel documento viene però sottolineato che non vi sono al momento dati certi per quanto riguarda l’efficacia a lungo termine per una singola dose di vaccino Pfizer. Qualora nuovi studi diano informazioni aggiuntive sulla possibilità di estendere l’intervallo, la raccomandazione dell’Oms verrà aggiornata. I partecipanti al trial clinico hanno ricevuto 2 dosi con un intervallo da 19 a 42 giorni. I dati pervenuti sono quindi basati su queste tempistiche di somministrazione. Nel dossier viene fatto notare che le risposte anticorpali neutralizzanti "sono modeste dopo la prima dose e aumentano sostanzialmente dopo la seconda dose".

Solo in circostanze eccezionali

Però, aggiunge l'Oms, "i Paesi in cui si verificano circostanze epidemiologiche eccezionali possono considerare di ritardare per un breve periodo la somministrazione della seconda dose come approccio pragmatico per massimizzare il numero di individui che beneficiano di una prima dose mentre le forniture del vaccino continuano ad aumentare". Come riportato dal Corriere, alcuni Paesi hanno già deciso di ritardare la seconda dose. Tra questi c’è il Regno Unito che starebbe pensando di allungare a 12 settimane l’intervallo tra le due dosi di vaccino.

Anche il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha reso noto che, quando entrerà in carica, rilascerà ogni dose disponibile del vaccino contro il coronavirus. Strategia opposta a quella di Trump che voleva trattenere metà della produzione di vaccini negli Stati Uniti per poter garantire la seconda dose. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Annals of Internal Medicine, la somministrazione delle prime dosi di un vaccino contro il Covid-19 a più soggetti può ridurre il numero di nuovi positivi. Questi però sono solo calcoli numerici e non vi sono test condotti sui vaccini. Ancora non si sa dopo la prima dose come si comporti l’immunità e neanche se la vaccinazione possa ridurre il rischio di contagio ad altre persone.

Contaria la FDA

Di pare contrario la FDA, la Food and Drug Administration, che attraverso i suoi funzionari ha sottolineato che queste “sono opzioni ragionevoli da considerare e valutare negli studi clinici. Tuttavia, in questo momento, suggerire modifiche al dosaggio autorizzato dalla FDA o ai programmi di questi vaccini è prematuro e non è saldamente radicato nelle prove disponibili. Senza dati appropriati corriamo un rischio significativo di mettere a rischio la salute pubblica, minando gli storici sforzi di vaccinazione per proteggere la popolazione”. Sergio Abrignani, ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare “Romeo ed Enrica Invernizzi”, ha spiegato al Corriere che “la proposta di allontanare nel tempo le due dosi di in assenza di studi clinici non potrà mai essere ufficialmente accettata dalle agenzie regolatorie , si potrà trattare solo di quello che chiamiamo un uso off-label del vaccino e quindi formalmente non si potrà utilizzarlo per un alto numero di persone”. Una sola dose potrebbe per esempio non essere sufficiente in soggetti anziani, il cui sistema immunitario è meno efficiente.

A favore gli Stati Uniti

Un altro studio, pubblicato sempre sugli Annals of Internal Medicine, ha dimostrato che riducendo la quantità di dosi di vaccino trattenute al 10% per le prime tre settimane e fornendo una dose costante di 6 milioni di dosi a settimana, gli Stati Uniti potrebbero evitarne fino a 29% di casi in più nell’arco di otto settimane. Secondo gli autori dello studio, “un approccio più equilibrato che trattiene meno dosi durante la distribuzione precoce al fine di vaccinare più persone il prima possibile potrebbe aumentare sostanzialmente i benefici dei vaccini, consentendo comunque alla maggior parte dei destinatari di ricevere le seconde dosi nei tempi previsti”.

Una buona notizia per chi ha avuto il Covid

Maria Van Kerkhove, a capo del gruppo tecnico dell'Oms per il coronavirus, in conferenza stampa a Ginevra ha affermato: “Ci sono recenti studi che suggeriscono che la risposta immunitaria delle persone che si sono infettate con Sars-Cov-2 potrebbe durare sei mesi o più. Noi stiamo ancora studiando questo aspetto e questa è una buona notizia". Ha inoltre ricordato che la ricerca sta guardando anche agli aspetti temporali della risposta immunitaria.

"Mentre ci sono centinaia di studi in corso, noi non abbiamo ancora tutte le risposte ma questa è una buona notizia perché mostra che anche le persone che si sono infettate e hanno avuto sintomi moderati sviluppano una robusta risposta immunitaria che può durare 6 mesi o più" ha concluso.

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