Vaccino, quanto dura l'effetto. Le dosi e i rischi: cosa sapere

Due esperti ci hanno spiegato l'iter della vaccinazione: le dosi, l'attivazione del sistema immuntario, i rischi se non si fa il "richiamo", la durata della protezione. E perché ci sono alcuni casi di infezione dopo il vaccino

Vaccino, quanto dura l'effetto. Le dosi e i rischi: cosa sapere

Il 2021 sarà l'anno dei vaccini e, speriamo, della fine della pandemia: per sconfinggere il Covid-19 prima che diventi infezione, non esistono altri metodi o rimedi che non siano quelli della punturina sul braccio. Dal momento che (si spera) tutti ci sottoporremo, nel corso delle prossime settimane e dei mesi, al tanto agognato vaccino, è importante avere alcune informazioni utili ad iniziare dalla cosa domanda più importante: dopo quanto tempo il nostro organismo sarà immune dal Coronavirus?

"Immuni dopo due dosi"

"Anche quando si completano le due dosi sappiamo che è efficace nel 95% dei casi. Questo vuol dire che il 5% dei vaccinati, tecnicamente, si può ammalare. In medicina, un'efficacia al 100% non esiste ma i migliori vaccini al mondo sono efficaci a questo livello. Anche con una completa vaccinazione ci si può ammalare, ma senza il vaccino si può ammalare la totalità delle persone", ha detto in esclusiva al nostro giornale il Prof. Sergio Abrignani, Immunologo dell'Università Statale di Milano e dell'Istituto Nazionale di Genetica Molecolare "Romeo ed Enrica Invernizzi. Il nostro organismo, quindi, ha bisogno di qualche giorno prima di proteggerci: ciò significa che anche dopo la seconda dose dovremo prestare la massima attenzione e non credere di essere subito immuni, servirà almeno un'altra settimana. Sarebbe una beffa contrarre il virus una volta raggiunto il traguardo. Ma cosa accade se il Covid lo abbiamo già incontrato?

"La risposta immunitaria ha due caratteristiche: la specificità e la memoria. Nel primo caso il vaccino anti-Covid funziona soltanto per il Covid e non verso altri virus; nel secondo, la memoria significa durata nel tempo. Per stabilire entrambi servono alcune settimane e almeno due dosi di vaccino se l'individuo è vergine - afferma Abrignani - Discorso diverso se un individuo ha già avuto un'esperienza con il virus: ai soggetti che si sono infettati ed hanno avuto la malattia (già qualche milione in Italia), probabilmente potrebbe già bastare una dose. È come se la prima dose l'avesse fatta il virus e la seconda la fa il vaccino".

Un mese per la completa immunità

La prima dose, poi tre settimane di attesa prima della seconda, dopodiché l'iter è finito e dopo 30 circa giorni addio Covid: ma perché è necessario tutto questo tempo? Non solo è normale, ma per questo tipo di virus i tempi sono più ristretti rispetto ad altre gravi infezioni. "I vaccini tradizionali hanno bisogno di più mesi: per l'epatite B se ne fa una prima dose, poi un'altra dopo un mese ed un'altra dopo sei mesi". Un caso a parte è rappresentato, invece, dal vaccino antinfluenzale, che muta ogni anno generando "riassortanti diversi".

Un caso a sè: il vaccino antinfluenzale. "Il virus influenzale è fatto di tanti geni e proteine ma soltanto due danno la diversità, l'emoagglutinina e la neuraminidasi. Infatti, i virus influenzali vengono indicati con due lettere e due numeri, H ed N, e si chiamano H1N1 e così via, a seconda di come si riassortano e ricombinano". Ogni anno è come se ci infettassimo con un nuovo virus ma c'è anche una parte comune a quella dell'anno prima: per questo motivo c'è una risposta immunitaria che aiuta a far si che basti una sola dose per essere protetti dopo 10-15 giorni. "Ma il virus influenzale è un caso a parte: in genere è normalissimo che ci sia, in una vaccinazione, una prima iniezione che chiamiamo di 'priming', cioè di innesco, che scatena la risposta immunitaria che ha bisogno di tempo e quello che chiamiamo un 'booster', un potenziamento, un richiamo che, a volte, va fatto dopo alcuni anni quando la risposta immunitaria tende a decadere", ci spiega Abrignani.

Infettarsi dopo il vaccino: ecco perché

Negli ultimi giorni hanno destato scalpore le notizie di alcuni medici, in particolar modo di un infermiere negli Stati Uniti e di una dottoressa di Siracusa (clicca qui per l'articolo), risultati positivi qualche giorno dopo aver ricevuto la prima dose. Nulla di straordinario, può capitare anche se in rari casi e con una buona dose di sfortuna. "La risposta immunitaria indotta dalla prima iniezione di vaccino inizia ad essere efficace non prima di 15 giorni e non al 95% perché occorre la seconda dose. A quel punto, comincia già ad esserci un'evidenza di protezione", ci ha detto l'immunologo. Quindi, nel caso della dottoressa siciliana che ha manifestato il virus 5-6 giorno dopo il primo vaccino, significa che l'infezione era avvenuta almeno 3-4 giorni prima. "A 24-48 ore dal vaccino è come essere completamente vergini dal punto di vista del sistema immunitario, è normalissimo che ci si possa ammalare in quei giorni". A questo punto rimane da capire quale sarà il descorso della malattia nella dottoressa siciliana: "lo vedremo, è un caso a sè: in genere, una risposta immunitaria indotta sia dal vaccino che dal virus dovrebbero aiutarsi a vicenda. Statisticamente è altamente improbabile che avvenga, abbiamo pochi casi e non c'è una regola", aggiunge Abrignani.

L'attivazione del sistema immunitario

Ma esattamente, qual è il procedimento con cui il nostro sistema immunitario si attiva? "Immagini una siringa con dentro una proteina, in questo caso la Spike. Nel muscolo vengono iniettate o la proteina, o l'Rna o il vettore adenovirale e da lì ci sono due opzioni: la proteina viene catturata dalle cellule che la presentano al sistema immunitario oppure, nel caso dei vaccini ad Rna, entra intrappolata in una pallottolina lipidica (altrimenti si degraderebbe subito), viene scapsulata dai lipidi e l'Rna comincia, come si dice in gergo, ad essere 'tradotto' in proteina, che viene rilasciata dalle nostre cellule ed il sistema immunitario riconosce la proteina come un estraneo, proteina non umana ma di un virus". Nel panorama mondiale, alcune aziende farmaceutiche quali Pfizer-BioNtech e Moderna utilizzano un vaccino ad Rna messaggero (mRna) mentre quelli di AstraZeneca o di Jonson&Johnson, ad esempio, sono a base di vettori virali, come fossero dei virus 'disattivati' (adenovirus) che, anche se disattivati, funzionano da trasportatori all'interno delle cellule dell'Rna che codificherà per la Spike. Due procedimenti differenti,a il risultato è sempre lo stesso: fermare il Sars-Cov-2.

Quanto dura l'immunità?

Immaginando di aver ricevuto due dosi potremo gradualmente riprendere in mano la nostra vita. Ma un pensiero corre su per la mente, veloce come la luce: quanto dura questa benedetta immunità? Sei mesi, un anno, di più o di meno? "La durata della protezione è un grosso punto di domanda, ancora non sappiamo quanto potrà durare la protezione e non abbiamo dei veri e propri test, facili da eseguire, per verificare se il titolo degli anticorpi neutralizzanti permane a lungo tempo nell'organismo di chi ha ricevuto il vaccino": è quanto ci ha detto in esclusiva Mario Umberto Mondelli, Professore di Malattie infettive all'Università di Pavia e Responsabile della Struttura di Malattie Infettive II – Infettivologia e Immunologia del Policlinico San Matteo di Pavia. "C'è un altro aspetto anche da tener presente: oltre agli anticorpi, trattandosi di un virus, di un parassita intracellulare, ciò che conta sono anche i linfociti T, che esercitano un'attività di controllo nei confronti delle cellule infette e le distruggono all'occorrenza", ci dice Mondelli.

Perché due dosi?

All'inizio abbiamo parlato delle due dosi, necessarie per una completa attivazione del sistema immunitario. In Inghilterra, però, la variante inglese e quella sudafricana stanno un po' mischiando le carte in tavola: si parla di vaccinare tutti con un'unica dose o ritardare quella di richiamo. "La mia idea è che ci sono pregi e difetti in entrambi gli approcci ma quello più sicuro in assoluto è quello tradizionale, previsto dalla schedula vaccinale, che è quello di somministrare una seconda dose a distanza di 3-4 settimane", sottolinea l'immunologo, perché "affina ulteriormente la specificità degli anticorpi, la specificità dei linfociti T e rende molto più efficace la protezione".

I rischi di "saltare" la seconda. Ma cosa accade se, per qualsiasi svariato motivo, il paziente ritarda l'appuntamento per il richiamo tre settimane dopo il primo vaccino? "La prima somministrazione non è così efficace nel rendere più affine e potente la risposta immunitaria, una sola dose induce una certa produzione di anticorpi ma non sufficiente da rimanere a lungo termine. Inoltre, ancora non sappiamo se, ritardando anche di parecchie settimane la seconda, questa sia sufficiente a mantenere una protezione a lungo termine", afferma il Prof. Mondelli. È per questo motivo che, agli operatori sanitari (sarà poi estesa a tutta la popolazione), il procedimento prevede che si stabilisca subito, in sede di prima somministrazione, anche il giorno in cui si dovrà fare il richiamo, importante tanto quanto se non di più della prima puntura vaccinale. "Non sappiamo se la prima sia sufficiente a proteggere: senza la seconda, il titolo vaccinale non sarà mai così elevato come con due vaccinazioni Conoscendo poco il vaccino, conoscendo poco la durata della protezione, la forza degli anticorpi e dei linfociti T, io andrei per le vie tradizionali come previsto".

La mutazione del virus: cosa cambia

L'apprensione per la mutazione del virus in Inghilterra fa sospettare che l'attivazione del sistema immunitario possa essere più debole. "Abbiamo un problema di mutazione della proteina ma non di potenza della risposta immunitaria. C'è un problema teorico legato al fatto che gli anticorpi prodotti dal vaccino non riescano a riconoscere questa variante o la riconoscano male, per cui il vaccino potrebbe essere inefficace.

Da un'analisi fatta da esperti virologi, però, sembra che al momento non sia questo il caso.", ha spiegato Mondelli.

"In effetti, il virus inglese e sudafricano emergente portano parecchie mutazioni nell'ambito della proteina Spike dove si legano i recettori Ace2 che sfrutta il virus per entrare nelle cellule", conclude Mondelli. Navighiamo a vista, ma una cosa è certa: l'unica arma contro il virus rimane sempre, e comunque, il vaccino.

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