Con la parola spread ormai conviviamo da anni. Si impenna, scende, è stabile: il differenziale è ormai diventato una sorta di termometro per la nostra economia. E anche questa stagione nuova con un braccio di ferro duro con l'Europa per la manovra che va al 2,4 per cento del rapporto deficit-Pil, di fatto è accompagnata dall'altalena dello spread che determina i rischi che corre la nostra economia. Ma quello che "schizza" a quota 280 o 300 dopo il "no" dell'Europa alla manovra è uno spread di cui bisogna preoccuparsi? Il Sole 24 Ore prova a fare chiarezza. Il valore di rifermento che viene preso è sempre quello che registra il differenziale tra i bund tedeschi e i Btp italiani. Ma gli esperti finanziari monitorano un altro spread, un valore di cui si parla poco ma che di fatto è quello che segnala davvero i rischi per il Paese. Si tratta dello spread che rileva la differenza tra i Btp a 10 anni e quelli a 2 anni. Questo è il valore che indica spesso agli addetti ai lavori una possibile fuga di capitali dall'Italia. E i due spread vanno quasi sempre in direzioni opposte.
Il primo, quello coi bund tedeschi se tocca una quota alta indica pericolo, il secondo se sfiora lo "zero" dà il segnale che qualcosa non va per il verso giusto. Prorio lo spread sui Btp a 2 e 10 anni di fatto segnala una imminente recessione o l'andamento di un Paese che è vicino al default. E per rendere l'idea basta citare il caso dello spread dei Btp a 2-10 anni che nell'estate del 2008, poco prima dello tsunami Lehman Brothers arrivò vicinissimo allo zero. A crisi finita questo tipo di spread tornò a quota 300.
In questo periodo questo "secondo spread" oscilla tra i 200 e i 220 punti base. Un valore che viene ritenuto nella norma e che è comunque nella forchetta di sicurezza che va dai 200 ai 300 punti base. Senza un crollo di questo indicatore, la sirena d'allarme può restare spenta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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