Vietato il crocifisso (a distanza)

Da docente universitario di questi tempi costretto agli esami in modalità telematica, scorgo nelle camerette dei miei studenti di tutto, ma raramente un profluvio di simboli religiosi

Vietato il crocifisso (a distanza)

Da docente universitario di questi tempi costretto agli esami in modalità telematica, scorgo nelle camerette dei miei studenti di tutto, ma raramente un profluvio di simboli religiosi: semmai, un'immagine di Padre Pio sullo sfondo o una timida crocina sul collo di qualche studentessa. E invece per le rappresentanze studentesche di sinistra dell'Università di Torino, sembra che sia questo il problema essenziale del loro ateneo. Con la forza coercitiva tipica di minoranze politicizzate, vicine ai centri sociali, dotate però di rappresentanza negli organi accademici, esse spingono per far varare, grazie all'appoggio di diversi docenti, un regolamento per gli esami a distanza che vieterebbe ai candidati di mostrare simboli religiosi. Quindi, nel caso passasse questa demenziale proposta, se vi presentate a un esame guardatevi dall'indossare una croce, sia pure piccola, ma cercate poi di occultare alla telecamera qualsiasi suppellettile che anche lontanamente rimandi alla religione: non solo Padre Pio o la Vergine o il Crocifisso, vade retro, ma anche accenni e riferimenti più timidi. Come tutte le regole fissate dai nuovo cultori dell'ateismo di stato di lontana marca sovietica, esse sono sempre ben oltre il ridicolo: di fronte a uno studente che, eroicamente, come i primi martiri, decidesse di tenersi indomita la catenina, cosa dovrebbe fare il docente, trasformandosi in Inquisitore ateo? Staccare la connessione? Rifiutarsi di interrogare il candidato? O peggio redarguirlo severamente di fronte agli altri: «si tolga quella croce dal collo, e si vergogni!». È vero che la professione di docente universitario è molto scaduta negli anni, ma non augureremmo neppure al collega più inviso di trovarsi in questa situazione. Qui sorridiamo ma il tema è serio, e va ben oltre il caso torinese. Perché questi sono i prodromi, provinciali e un po' straccioni, di quanto avviene nelle università statunitensi, inglesi anche francesi da qualche anno a questa parte e che hanno trasformato le facoltà umanistiche e di scienze sociali in caravanserragli, in cui una minoranza di studenti ideologizzati, supportata da una più robusta minoranza di docenti agit prop, vorrebbe semplicemente cancellare la cultura occidentale. E con questa ovviamente la religione cristiana, senza cui noi non saremmo niente.

Del resto, se la stessa Unione Europea ha deciso di fare a meno delle radici cristiane, non sorprende che ragazzotti sprovveduti dei centri sociali vogliano trasformare gli atenei in tribunali dell'inquisizione a rovescio, dove la religione cristiana è trattata non quale fonte di sapere, ma di ignoranza. I nostri atenei non meritano tutto questo.

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