Il primo caso di morte per cornavirus nell'ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo (anche se non ufficiale), in provincia di Bergamo, si è registrato tra il 21 e il 22 febbraio. La prima persona deceduta è una signora ricoverata nella struttura sanitaria per uno scompenso cardiaco, le cui condizioni non destavano particolare preoccupazione. Dopo essere rimasta sotto osservazione per circa dieci giorni, la donna accusa improvvisamente febbre a 39 e una polmonite. Dopo diverse crisi respiratorie se ne va alle due di notte del 22 febbraio. Alla donna (e ai suoi familiari) non è mai stato fatto alcun tampone.
La vicinanza tra pazienti
Il figlio della signora, Francesco Zambonelli, i tre pazienti affetti da Covid-19 della zona li ha visti tutti. E, in base a quanto ricostruisce un'inchiesta del Corriere della sera sulla diffusione della malattia in provincia di Bergamo e sulla mancata chiusura dei centri abitati più colpiti, in quella circostanza avrebbe avuto a che fare anche con i loro familiari: "Eravamo tutti insieme, nello stesso reparto di medicina, al terzo piano. E con i rispettivi familiari facevamo due chiacchiere nell'atrio di ingresso".
Le strane mascherine
Zambonelli è rimasto vicino alla madre fino al momento della sua morte e in quella circostanza si accorge di una "stranezza", cioè che gli infermieri indossano mascherine che non utilizzano sempre, cioè le FFP2 senza valvola. Nel frattempo, in un'altra provincia lombarda, a Lodi, vengono scoperti i primi casi a Codogno. Poi anche in Veneto, a Vo' Euganeo, in provincia di Padova. E nelle stesse ore, nell'ospedale dove è morta la madre di Zambonelli, si registrano i primi due pazienti positivi alla nuova malattia respiratoria.
I primi positivi
Si tratta di due cittadini di Nembro, altro comune molto colpito della Bergamasca: Franco Orlandi, ex camionista, e Samuele Acerbis, rappresentante di commercio. Entrambi sono ricoverati nella struttura ospedaliera di Alzano nello stesso reparto della madre di Zambonelli, ma ai due pazienti, i tamponi sarebbero stati fatti dopo circa una settimana di permanenza in ospedale. Intanto, il 23 febbraio, nel pomeriggio, il pronto soccorso dell'ospedale viene chiuso, ma dopo alcune ore tutto riapre e, secondo quanto riportato dal quotidiano, senza alcuni tipo di sanificazione e senza alcuna creazione di un triage differenziato.
"Hanno fatto un'ecatombe"
"Dall'ospedale di Alzano, qualcuno avrebbe dovuto almeno avvisare dell'esistenza di un pericolo micidiale. Invece hanno lasciato che la gente andasse avanti e indietro ancora per un'altra settimana, dal pronto soccorso agli ambulatori. Era pieno di anziani che andavano a fare l'esame del sangue. Hanno fatto un'ecatombe", ha dichiarato Zambonelli. Anche il padre è deceduto di coronavirus, il 13 marzo, e sua zia Luciana, di 72 anni, che si alternava a lui nell'assistenza al genitore, è morta due giorni dopo. E anche i primi due pazienti risultati positivi nella struttura ospedaliera di Alzano, Orlandi e Acerbis, sono deceduti, esattamente come la donna che aveva il letto di fronte al loro e ad altri malati ricoverati.
Quali responsabilità?
Il virus, nella zona, si sarebbe propagato anche dalla struttura ospedaliera di Alzano Lombardo, ma la responsabilità risulta oggi piuttosto difficile da individuare. Secondo i numeri citati dal quotidiano, a oggi, le persone contagiate nel comune in provincia di Bergamo sarebbero 177, mentre a Nembro 2017. In tutta la Bergamasca le vittime hanno raggiunto il numero di 2.378 e ora tutti pensano alla mancata serrata dei comuni. Le istituzioni che hanno potere di chiudere le aree sono l'Ats locale, alla quale spetterebbe un parere non vincolante , e la Regione, della quale ogni istituto di cura rappresenta un presidio territoriale.
Nessuna zona rossa
A oggi, in molti si chiedono come mai non sia stata istituita subito una zona rossa nella provincia di Bergamo, una delle aree che ha contato i numeri più alti di morti. Le ipotesi sono tante e alcune sono legate al lavoro. Il distretto industriale di Alzano-Nembro è uno dei primi cinque d'Italia per Comuni sotto i 300mila abitanti e secondo i dati di Confindustria Bergamo, un'eventuale zona rossa in quell'area avrebbe riguardato 376 aziende, con una forza lavoro che varia dai 120 agli 800 dipendenti, per circa 850milioni di euro all'anno di fatturato. Nessuno, però, dal 3 al 9 marzo, si sarebbe assunto la responsabilità di chiudere l'area (con una conseguente ricaduta economica).
La differenza tra Lodi e Bergamo
Come riportato dal quotidiano, la corrispondenza privata governo-Regione, avrebbe però consentito di ricostruire quanto avvenuto, chiarendo come mai per istituire la zona rossa intorno a Codogno ci sia voluto meno di un giorno, con un'ordinanza firmata dal presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, e dal ministro della Sanità, Roberto Speranza, che chiudeva dieci comuni in entrata e in uscita nel Lodigiano, con i posti di blocco, mentre per Bergamo, che presentava dati più allarmanti non sia bastata una settimana.
I dubbi e le carte
Il 2 marzo scorso, l'assessore lombardo al Welfare, Giulio Gallera, avrebbe espresso dubbi e perplessità sull'utilità di una zona rossa in quell'area. Secondo quanto ricostruito dall'inchiesta, i primi cinque report quotidiani che, a partire dalla mattina del 21 febbraio la regione Lombardia inviava alla protezione civile, non avrebbero fatto alcun cenno alla situazione della provincia di Bergamo. Per quasi una settimana, nel documento, sarebbero stati segnalati soltanto i focolai identificati fino a quel momento: quattro e tutti nel Lodigiano. Ma già il 27 febbraio, in provincia di Bergamo, erano 72 i nuovi casi di positività: 19 di questi e tre decessi facevano di Nembro il quarto comune più colpito della regione (insieme a Casalpusterlengo che, però, era già zona rossa).
L'inferno a Bergamo
Intanto nella città lombarda i numeri aumentano e gli ospedali sembrano avere difficoltà. Il 29 febbraio a Nembro ci sono altre 25 persone contagiate e ad Alzano ne vengono segnalati altri 12 e l'intera provincia ormai supera i cento contagi. Nella stessa giornata, la Confindustria di Bergamo pubblicava il video "Bergamo is running", rilanciato anche dal sindaco del Partito democratico, Giorgio Gori. In diverse circostanze, però, al Nord la classe dirigente sembra orientata a "riaprire tutto" o a non fermarsi.
Il parere tecnico-scientifico
A quel punto, Regione Lombardia invocava misure più restrittive, ma non avrebbe mai chiesto, almeno in modo ufficialie, l'istituzione di una zona rossa in quella provincia. Il comune accordo per questa richiesta sarebbe arrivato il 3 marzo, con 423 contagiati nella provincia, 58 a Nembro e 26 ad Alzano, con una scelta comunque affidata al parere degli scienziati. Il Comitato tecnico scientifico, quel giorno, sul suo verbale scrive: "Nel tardo pomeriggio sono giunti all'Istituto superiore di Sanità i dati relativi ai due comuni sopramenzionati, poi esaminati dal Cts. Al proposito sono stati sentiti al telefono l'assessore Giulio Gallera e il direttore generale Luigi Cajazzo di Regione Lombardia che confermano i dati. Ciascuno dei due paesi ha fatto registrare attualmente oltre 20 casi, con molta probabilità ascrivibili a un'unica catena di trasmissione. Ne risulta, pertanto, che l'R0 è sicuramente superiore a uno, il che costituisce un indicatore di alto rischio di ulteriore diffusione del contagio. In merito, il Comitato propone di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei comuni della 'zona rossa', al fine di limitare la diffusione dell'infezione nelle aree contigue. Questo criterio oggettivo potrà, in futuro, essere applicato in contesti analoghi".
La chiusura
L'unità di crisi della Regione, con una mail a Silvio Brusaferro, direttore dell'Iss, a quel punto, invia una mappa dettagliata della diffusione del virus in tutta la Bergamasca. Nella stessa sera di inizio marzo, in Val Seriana, arriva l'esercito, ma ancora non si chiude nulla. Il 4 marzo, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, firma il primo nuovo decreto che impone la chiusura in tutto il Paese fino al 15 marzo per università, scuole, teatri, cinema. "Con specifico riferimento alla proposta avanzata dal Comitato tecnico scientifico ai due comuni della provincia di Bergamo", comunque già "assoggettati" a misure più restrittive di quelle applicate sul territorio nazionale con il decreto varato il 1° marzo, il capo dell'esecutivo giallo-rosso chiede ai suoi esperti di "approfondire" le ragioni della loro richiesta di una zona rossa per Alzano e per Nembro.
Una fase sempre più critica
Intanto, il 3 e il 4 marzo la Lombardia attraversava una fase critica: a Bergamo i casi erano 33, a Lodi 38, a Cremona 76, a Crema 27, nel comune di Zogno 23 e Soresina e Maleo 19. Ma per il governo "appariva necessario acquisire ulteriori elementi per decidere se estendere la 'zona rossa' a questi due soli comuni oppure, in presenza di un contagio ormai diffuso in buona parte della Lombardia, estendere il regime all'intera regione e alle altre aree interessate".
Le scelte di Conte
Brusaffero sceglie di rispondere il 5 marzo con una nota scritta e dichiara: "Pur riscontrandosi un trend simile ad altri comuni della Regione, i dati in possesso rendono opportuna l'adozione di un provvedimento che inserisca Alzano Lombardo e Nembro nella zona rossa". Il 6 marzo, Conte si reca alla protezione civile e lì incontra i membri del Cts per una decisione definitiva, ma ancora non ci sono indicazioni certe e così si supera "la distinzione tra 'zona rossa','zona arancione' e resto del territorio nazionale in favore di una soluzione ben più rigorosa". Il 7 marzo, a notte fonda, viene annunciata la serrata del Paese intero e il decreto viene firmato la sera dell'8 marzo, entrando in vigore il giorno seguente (quando ad Alzano ci sono 55 contagiati, a Nembro 197 e in tutta la provincia di Bergamo 1.245). La Lombardia è zona rossa, come tutta l'Italia, ma dalle prime richiesta sono passati sei giorni.
Le responsabilità
Come riportato dall'inchiesta, una nota interna di palazzo Chigi, sembrerebbe fare riferimento a due possibili dispute sul mancato provvedimanto: "Quanto alle competenze e ai poteri della Regione Lombardia, si fa presente che le regioni non sono mai state esautorate dal potere
di adottare ordinanza contingibili e urgenti". Che, tradotto, potrebbe significare che se la Lombardia avesse ritenuto opportuno creare una zona rossa nei comuni di Nembro e Alzano avrebbe potuto farlo in autonomia.
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