In mattinata la cabina di regia sul Documento programmatico di bilancio fila via senza che i capi delegazione della maggioranza presenti a Palazzo Chigi riescano a capire davvero che piega sta prendendo la legge di bilancio. È vero che il Dpb si limita a tracciare una cornice sommaria della manovra, definendo la cifra complessiva degli interventi, ma senza entrare nel dettaglio delle misure. Un documento che va poi inviato a Bruxelles, dove lo attendono ormai dal 15 ottobre (fino a ieri sera l'Italia era l'unico dei 19 Paesi dell'Eurozona a non averlo ancora presentato). Ma non c'è dubbio che la maggior parte dei presenti alla riunione si aspettasse qualche indicazione in più, così da presentarsi al Consiglio dei ministri con le idee più chiare.
Invece è solo intorno al tavolo ovale al primo piano di Palazzo Chigi che nel pomeriggio i ministri prendono contezza dei numeri. Gli occhi sono tutti puntati su reddito di cittadinanza e Quota 100, i due provvedimenti anche politicamente più rilevanti, perché figli del governo gialloverde. Il primo, una sorta di totem per il M5s; il secondo, cavallo di battaglia della Lega. Draghi rimette mano a tutti e due. Per il reddito, ci sarà una revisione in senso restrittivo, aumentando i controlli per l'accesso e introducendo una sorta di décalage dell'assegno per chi rifiuta l'offerta di lavoro. L'istituto viene però confermato e rifinanziato con un altro miliardo nel 2022, posta che si va a sommare agli oltre 7,7 miliardi già previsti. Il totale per il 2022 sarà dunque di 8,8 miliardi, sostanzialmente in linea con il 2021. Politicamente, un punto a favore del M5s. Con buona pace di Lega e Forza Italia, piuttosto freddi. Ma non la vede così Draghi, convinto che i correttivi siano fondamentali escludere i furbi, ma deciso a non cancellare quello che di fatto è diventato un ammortizzatore sociale in un momento così delicato per il Paese. D'altra parte, con una campagna vaccinale che corre verso il 90% della copertura, è evidente che le manifestazioni no green pass sono il segnale di un forte disagio sociale. Non è un caso che sul punto Draghi e Franco abbiano fatto fronte comune in Consiglio dei ministri.
Diverso, invece, l'approccio a Quota 100, che dopo tre anni andrà in soffitta. Franco ha assicurato che ci sarà un «ammorbidimento dello scalone» e la linea sposata dal premier è di passare a Quota 102 nel 2022 e poi Quota 104 nel 2023. Una proposta su cui i ministri della Lega esprimono una «forte riserva», arrivando persino a mettere in dubbio il voto favorevole alla manovra. Sulle pensioni, fa sapere Giancarlo Giorgetti, «ci sono diverse ipotesi in ballo», ma «questa sera non è stata presa nessuna decisione». Nei prossimi giorni, spiega, «si decideranno modalità e tempi delle modifiche», ma «escludo qualsiasi ritorno alla legge Fornero». Concetto ribadito più tardi anche da Matteo Salvini, a conferma che sul punto la Lega è pronta ad alzare le barricate. Il premier, dal canto suo, non vuole andare allo scontro, ben consapevole delle difficoltà di una Lega uscita pesantemente sconfitta dalle urne. L'ex Bce, infatti, è convinto che questa sia la prima manovra espansiva da tempo, una legge di bilancio che potrebbe avviare un percorso di riconciliazione nazionale. L'unica cosa da evitare, insomma, sono strappi o rotture. Anche perché, come è giusto e legittimo, Draghi vuole arrivare al voto per il Quirinale in programma a metà gennaio cercando di tutelare il più possibile lo schema dell'unità nazionale. Quello che ieri, per dire, si è ritrovato sul taglio del cuneo fiscale, una misura che piace a tutte le forze di maggioranza.
Di qui la scelta di prendere tempo e cercare un punto di
caduta sulle pensioni che anche Salvini può reputare accettabile. Il Consiglio dei ministri approva dunque il Dpb, mentre il via libera alla legge di bilancio è quasi certamente destinato a slittare alla prossima settimana.
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