Zero investimenti sul lavoro. Conte ha bruciato 100 miliardi.

Per uscire dalla crisi va sostenuta l'offerta con riforme strutturali per essere più produttivi e competitivi. Invece il governo ha scelto la strada dei bonus a pioggia: porta consenso ma a caro prezzo.

Zero investimenti sul lavoro. Conte ha bruciato 100 miliardi.

Non capire, sbagliare, arrivare tardi è certamente umano; perseverare, non riconoscere gli errori, incartarsi, è, non tanto diabolico, quanto semplicemente masochista. Con in più un cattivo pensiero. Che invece sia tutto intenzionale, voluto, scientifico, con il solo obiettivo di comprarsi il consenso. In altri termini, non fare le cose giuste, semplicemente perché quelle sbagliate ti fanno salire nei sondaggi, ti danno una effimera ragione, anche se hai torto. Tanto consenso nel breve periodo, in cambio di 100 miliardi di deficit, di maggior debito per le nuove generazioni. E il sentimento comune dalle parti del governo delle 4 sinistre sembra essere quello del chissenefrega. Ecco il motivo perché continua a perseverare nel voler affrontare la crisi prodotta dalla pandemia dal lato sbagliato del mercato, contromano, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. E continua imperterrito a perseverare. Il diavolo non c'entra. C'entra piuttosto Casalino.

La crisi economica e finanziaria nella quale si trova l'Italia, per effetto della pandemia, è una crisi di tipo supply-side, ovvero che ha colpito prima di tutto il lato dell'offerta, causando poi effetti avversi anche sul lato della domanda (famiglie, lavoro, consumatori). A questa crisi il governo ha scelto di intervenire con misure di tipo demand-side, ovvero volte a sostenere prevalentemente il lato della domanda, con provvedimenti a pioggia di tipo difensivo, assistenziale. Questa politica economica (che potremmo chiamare non senza una amara ironia Contenomics) fatta dal lato sbagliato del mercato sembra essere il frutto avvelenato di una precisa visione ideologica che caratterizza il Governo. L'ideologia che ha sotteso tutti gli interventi è stata infatti quella di non salvaguardare tanto gli interessi strutturali del Paese (gli investimenti, la crescita, la potenzialità di produrre ricchezza, il valore delle imprese, la loro tecnologia, la loro organizzazione, il capitale fisico e umano) ma esclusivamente quelli di chi la ricchezza la consuma. Senza preoccuparsi che il reddito, prima di essere consumato, deve essere prodotto. Ma questa semplice constatazione sembra lontana dal situazionismo grillino.

Facciamo quattro conti. Per contrastare gli effetti della crisi, l'esecutivo ha finora deciso interventi emergenziali per 100 miliardi di extra deficit, più altri 30 di saldo netto da finanziare (sulle spalle dei prossimi governi). Una cifra monstre che si è concretizzata in tre scostamenti di bilancio: 20 miliardi nel decreto Cura Italia di marzo, 55 miliardi nel Rilancio di maggio e 25 miliardi nel dl Agosto.

Sono stati 100 miliardi spesi bene? Al netto della decina di miliardi destinati al potenziamento della spesa sanitaria, possiamo dire tranquillamente di no. L'extra-deficit è infatti quasi tutto servito per finanziare interventi assistenziali di natura corrente: casse integrazioni; redditi di emergenza; indennità per parasubordinati e autonomi; limitati contributi a fondo perduto e abolizione «una tantum» del saldo 2019 e del primo acconto 2020 Irap; garanzie pubbliche per moratorie sui prestiti bancari e per il rilascio di nuovi finanziamenti bancari, i cui effetti sul Pil, misurati dai moltiplicatori fiscali sono stati praticamente nulli.

Anche il decreto Agosto si conferma come una grossa delusione. L'ultimo capitolo di una serie di scelte in cui è evidente l'intenzione di far assumere allo Stato un ruolo sempre più di controllo della economia, della società e delle imprese. In questo filone di pensiero, si inserisce l'infinita sequenza di bonus, molti dei quali cervellotici se non discriminatori, come il contributo a fondo perduto in favore degli esercenti del settore turismo dei centri storici, misura accettabile in se ma che rischia di diventare discriminatoria tra categorie più o meno disastrate. O come l'inutilmente complesso cashback o l'effimera fiscalità di vantaggio per il Sud, o l'insufficiente proroga dei versamenti delle tasse, o ancora l'assunzione di quasi 100.000 nuovi insegnanti, totalmente ingiustificata dai dati demografici.

Nel frattempo, il mercato del lavoro italiano sta conoscendo continue perdite di occupazione, cadute dei contratti a tempo indeterminato e crescita della inoccupazione. Solo il dato della disoccupazione è meno negativo, ma ciò solo perché i lavoratori in Cassa Integrazione non sono considerati statisticamente disoccupati: risultano occupati. Il mercato del lavoro è stato così progressivamente congelato dal governo nella convinzione che occorra passare la «nottata»

Per non parlare dello smart-working. Dal punto di vista definitorio, quello che stanno vivendo più di tre milioni di dipendenti pubblici e molti altri milioni di dipendenti privati è in realtà una trappola, una soluzione temporanea e costosissima per consentire ai genitori di rimanere a casa a curare i figli e a garantire il distanziamento sociale in attesa che riaprano le scuole. Una trappola semantica che vuole spacciare per smart-working ciò che smart-working non è. Non è accettabile avere una pubblica amministrazione che lavora, si fa per dire, al settanta per cento da casa, senza una definizione di obiettivi, senza un sistema di controlli adeguato, senza piattaforme ad hoc, senza né strumenti adatti né formazione, senza libera contrattazione. Continuando a leggere le norme sul lavoro del governo Conte, norme dal forte impatto dirigista, viene da chiedersi come mai, se il governo è così sicuro del loro perfetto funzionamento, per paradosso, il divieto di licenziamento non venga esteso permanentemente, la cassa integrazione non diventi la regola, lo smart-working definitivo.

Il fatto che il governo abbia varato con grave ritardo le misure di risposta prettamente emergenziali di breve periodo costituisce la colpa più grave. Non vi è infatti nessun merito nello stanziare, con il nulla osta dell'Europa, 100 miliardi di extra-deficit, se il risultato, finita la crisi, è quello di avere una Italia indebitata ancora più di prima, con un rapporto debito/Pil che viaggerà verso la soglia monstre del 200% e senza alcuna prospettiva per il futuro.

Cosa si doveva fare allora? Tutte le energie e la potenza di fuoco del deficit dovevano essere usate per far ripartire le imprese, per la crescita e gli investimenti. Mantenendo il reddito ai lavoratori attraverso gli ammortizzatori sociali, ma facendo una scelta drastica di semplificazione. E far ripartire, soprattutto, la produttività della macchina pubblica.

Occorreva evitare una ulteriore strutturale perdita di produttività e di impoverimento del capitale umano. Invece, sta vincendo la falsa illusione della sinistra che è quella di fermare il progresso, fermare il mercato, assoggettare tutto alla mano pubblica. Con una pioggia di trasferimenti per comprare il consenso, promuovere l'assistenzialismo, cancellare il mercato. Al contrario, era questa l'occasione per promuovere incentivi che potessero incentivare le imprese a passare dalla Cig a riassunzioni controllate, per rafforzare il sistema della Naspi coniugato con robuste azioni di formazione, orientamento e ricollocazione (non era questo il governo delle politiche attive e dei navigator?), per sviluppare un piano delle competenze legato a nuove e più produttive attività. Le crisi possono essere il momento migliore per rompere con paradigmi consolidati e avviare riforme strutturali per essere più produttivi e competitivi. In conclusione, se la funzione obiettivo del governo Conte era ed è quella dell'acquisizione del consenso nel breve periodo, è chiaro che le politiche della domanda come realizzate dalla Contenomics sono perfettamente coerenti e, infatti, il consenso del governo non ha fatto che aumentare durante la crisi, come ci ricorda sempre l'ottimo Casalino. Tante risorse in deficit, attraverso bonus segmentati in tutte le categorie, assistenzialismo, moratorie fiscali incerte ma ripetute, divieti continui di licenziamento, lo Stato come partner occulto, l'idea che tutto questo sia gratis, lasciando le dolorose riforme al dopo e con il Parlamento e le opposizioni ad inseguire tristemente e inutilmente il governo. All'Italia servivano politiche opposte, da subito, dal lato dell'offerta: investimenti, produttività, semplificazioni, accumulazione del capitale pubblico e privato. Tutte le riforme che ha chiesto l'Europa e per le quali ha messo sul tavolo più di 300 miliardi per noi. Ma le riforme, si sa, non portano consenso nel breve periodo, semmai lo fanno perdere. I risultati del buon riformismo si vedono solo nel medio e lungo periodo. Questa è l'amara verità. Proprio per questo temiamo che questo governo continui la Contenomics questa volta con le risorse dell'Unione. Sarebbe il disastro sul disastro, l'isolamento e la nostra bancarotta.

Sosteneva De Gasperi che la differenza tra un politico e uno statista è che il primo guarda alle prossime elezioni, il secondo alle prossime generazioni. Ecco, la Contenomics ha guardato solo al giorno per giorno e al consenso, lasciando il Paese alla deriva. Forse è il caso che la buona politica, tutta insieme, di destra e di sinistra, dica basta.

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