Casa Vissani, un mito impolverato

Il ristorante a Baschi che ha fatto la storia della gastronomia italiana è ormai curato dal figlio del grande Gianfranco, Luca, grande uomo di sala passato in cucina. Il menu gourmet conserva un buon livello ma non ha più guizzi e ha un prezzo decisamente alto e l’impressione è che ormai si venda più il nome che la sostanza. Ha molto successo, invece, il più accessibile menu Territori

Casa Vissani, un mito impolverato

Confesso che non è facile scrivere di Casa Vissani, un ristorante che ha fatto la storia della alta ristorazione italiana, anche se la sua vicenda non sempre è andata di pari passo con l’ingombrante anima umana di Gianfranco Vissani. Tanto esuberante, provocatorio, talora volgare, sempre e comunque scorretto questi, quanto delicato il suo tocco in cucina ed elegante il suo salotto gastronomico. Vissani è stato tra i primi cuochi italiani a flirtare con la politica, a sbarcare in televisione, a consentire agli italiani di familiarizzare con le liturgie dell’alta cucina. A un certo punto della sua carriera, quando nell’iter individuato da Arbasino dopo essere stato una giovane promessa stava per smettere i panni del solito stronzo, avrebbe potuto completare la trilogia arbasiniana diventando un venerato maestro ma ha scelto di dire e fare tutto quello che gli passava per la testa, pagando il conto salato di venire emarginato dal discorso gastronomico italiano proprio mentre questo diventava diffuso. Lui Gualtiero Marchesi, quello di cui tutti parlano con deferenza e se appena possono si dichiarano allievi, ecco, proprio non voleva esserlo. E in fondo questo percorso lungi da ogni furbizia me lo ha sempre reso simpatico.

Ho aspettato diversi mesi per raccontare la mia visita al ristorante di Baschi, avvenuta a fine agisto, perché sentivo di avere di fronte a me due strade: raccontare “il” ristorante di Vissani; oppure raccontare “un” ristorante stellato umbro. Alla fine ho scelto la seconda strada, in ciò agevolato dal fatto che nel corso delle sedici ore da me trascorse in riva al lago di Corbara io Gianfranco non l’ho visto nemmeno di striscio. Sarà stato in ferie, meglio per lui. Ho visto e molto invece il figlio Luca, che porta avanti la lussuosa baracca con grande dedizione, con la stessa fisicità ma un profilo più basso del papà, a cui comunque assomiglia moltissimo. Oggi Luca, che è nato come (grandissimo) uomo di sala, indossa la giacca bianca per dare continuità alla Vissaneide, ma mi confessa di sentirsi ancora un paladino del servizio. In cucina, dietro le due finestre incorniciate che danno sulla sala in cui si vive l’esperienza gourmet, si muove fluida una brigata numerosa capitanata da Mori Shinichi, e con la sorella di Gianfranco, Lucia Paola, a riempire uno dei cestini di pane migliori d’Italia.

E il pane può a buona ragione inaugurare il capitolo delle cose che mi sono piaciute molto della mia cena in Casa Vissiani. A questa sezione dei sorrisi vanno iscritti certamente anche: il servizio del bravissimo maître Giuseppe Vicario, capace di interagire con ironia e sapienza con un pubblico internazionale (pare vadano per la maggiore i belgi); poi la bellezza senza tempo del salone gourmet, che ogni anno viene ritoccato con qualche dettaglio nuovo (perché i Vissani vivono davvero il ristorante come casa loro, e pare che Gianfranco risieda davvero qui); la sala jazz dove viene servito l’aperitivo e volendo anche i dessert e dove mi dicono si possa anche fumare un sigaro o una banale sigaretta (io però non mi sono azzardato); il fatto che il giardino in cui viene servito il menu Territori – ovvero la proposta più informale, 85 euro per tre piatti a scelta e un dessert da una carta che propone una Parmigiana di melanzane con burro salato, cipollina e bufala, gli Umbricelli al pesto, l’Agnello con purea di patate all’aglio nero e balsamico – fosse strapieno quel mercoledì sera, e probabilmente tutte le altre sere di apertura; la carta dei vini decisamente in frac, tante etichette ingioiellate e da colpo sicuro ma anche la voglia di raccontare il territorio; e poi, parlando di cibo, due piatti del menu Grande Vissani che io ho scelto: il Liquido di uovo con carciofi alla mentuccia, salsa di parmigiano e cipollina (è stata la prima tappa del percorso e mi aveva ben disposto) e i Cappelletti di grano saraceno alla cacciatora, vongole veraci, calamari e occhi di canna, fatti con 34 uova per chilo di farina. Ah, mi è piaciuta anche la cottura veramente minimal del riso Carnaroli nel risotto con scampi, passion fruit, ghiande e caffè ristretto, che dona croccantezza e ritmo al piatto. E pazienza per i milanesi di passaggio, che sicuramente protesteranno perché “gli umbri che ne sanno di risotto”.

E ora i punti meno entusiasmanti della mia esperienza. Uno: il menu gourmet è di buon livello medio ma non ha nessun picco, nessun “effetto wow” come direbbero gli instagrammer. Dà il senso di una cucina che si è rifugiata in un certo manierismo, di un sentirsi gli “ad honorem” di sé stessi, di un pensiero di retroguardia che ha forse con ragione abdicato a certi stilemi fine dining ma senza sostituirli con niente altro di interessante. E qua e là emerge anche un filo di rusticità, un po’ di umbritudine che scalpita, di sostanza che prevale sulla forma. Due: questo non sarebbe di per sé un difetto se non fosse che il menu Vissani Grande costa 235 euro, un prezzo decisamente impegnativo per la qualità complessiva della proposta, per la trama in fondo non troppo avvincente del percorso e per la location bella sì, ma scomoda e lontana da praticamente tutto. Casa Vissani, dopo aver vantato due “macaron” tra il 1995 e il 2019, è stato quattro anni fa declassato dai soloni della Michelin, con grande scandalo e insoddisfazione e malumori di Gianfranco, e oggi vanta una sola stella come altri cinque ristoranti della regione, molti dei quali con chef giovani ed entusiasti anche se ancora senza fama. Ebbene il loro menu più costoso raggiunge al massimo i 160 euro di Vespasia a Norcia, ma Ada e L’Acciuga a Perugia propongono il percorso più impegnativo a 100 euro e Une a Capodacqua addirittura scende in doppia cifra: 95 euro. E l’enfant prodige della cucina umbra, Andrea Impero di Elementi Fine Dining nel resort Borgobrufa a Torgiano, vende il suo Ispirazioni a 140.

Ora, è vero che un prodotto non si giudica solo dal cartellino del prezzo, ma converrete con me che qualcosa non torna. Lo sanno i Vissani padre e figlio che Riccardo Camanini chef di Lido 84, dodicesimo ristorante del mondo secondo la Fifty Best, offre il suo menu a sorpresa Oscillazioni a 155 euro? E, badate: in quel caso siamo a Gardone Riviera, nel cuore dannunziano del prospero Nord, dove gli stipendi (e di conseguenza il costo della vita) sono più alti che in Umbria.

Insomma, io avrei voluto raccontare Casa Vissani come “un” ristorante qualsiasi, ma proprio non ce la faccio. Perché il Vissani Grande costa così tanto proprio in ragione del fatto che è il menu che reca il nome dell’ex chef più famoso d’Italia, che uno poi dice “sono stato da Vissani”. E forse non a caso quella sera in tanti mangiavano ridendo in giardino la parmigiana e solo in cinque nella sala gourmet ci gustavamo in silenzio la Barretta di tonno, caramello, asparagi e aglio, il Crudo di scottona al caviale lime e rapa di sedano e il Filetto di vitella, mantecato di baccalà alle noci pecan con pecorino, pepe e zafferano (così i piatti salati li ho citati tutti). Un po’ pochini, noi cinque, anche per un ristorante che ha sette tavoli e una ventina di coperti malcontati. E anche per un mercoledì di agosto.

E insomma, cari Vissani, fate qualcosa per riscattarvi da questo lento ma inesorabile declino. Perché alla fine vi vogliamo bene. E senza voler essere venerati maestri, portate un nome di cui ci piacerebbe davvero essere orgogliosi.

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