Alla Grande, l’osteria necessaria

A Baggio, alla periferia di Milano, un locale con un’atmosfera vecchio stile e basata sulla socializzazione e l’informalità, dominata dalla figura burbera del patròn Roberto. Piatti della tradizione bene eseguiti, quartini di vino della casa e prezzi onestissimi. Basta solo riuscire a trovare un tavolo

Alla Grande, l’osteria necessaria
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Metti una sera a cena in una delle trattorie più assurde di Milano. Metti una sera a cena all’Osteria Alla Grande, un piccolo locale incistato dal 2001 (ma esisteva già nel 1982 in sedi più centrali) in un punto in cui la periferia diventa un borgo, più o meno a Baggio. Un luogo arredato come se fosse stata svuotata la cantina di un appassionato di modernariato a basso costo, così pieno di cose che non invidio chi ha la mansione di spolverarle, dove domina un’atmosfera da vecchia Milano tutt’altro che posticcia, anche perché alla fine dei conti la differenza nei locali la fanno le persone. Quelle che ci lavorano e quelle che ci vanno a mangiare.

Per cui perdonate, ma stavolta il cibo lo teniamo in fondo. Prima voglio raccontarvi di Roberto detto Lo Smilzo, 78 anni magnificamente portati, titolare del posto, seduto a uno dei tavoli a interloquire con chiunque, con i suoi modi bruschi ma mai maleducati, brutalisti e mai brutali. Lo Smilzo, che nell’avventura è aiutato dalla deliziosa moglie Elena, che ne ammansisce gli eccessi, è uno degli ultimi sopravvissuti di quelle che si definivano le Brigate gastronomiche che un tempo militavano in questo posto, ognuno con un soprannome (il vecchio socio si chiamava Sintesi) e che coinvolgevano tutti in un’atmosfera di cazzeggio inesorabile, anche chi si era trovato per caso incastrato a uno dei tavolini, ignaro del “codice perdinci” che regolava le dinamiche del posto.

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Oggi questa compagnia di giro si è in parte dispersa, in qualche caso nella maniera più definitiva, ma l’atmosfera del locale resta impagabile. Nel corso della mia serata Alla Grande ho più o meno dialogato con quasi chiunque si trovasse nel locale, di amore, di tango figurato, di viaggi in Sardegna, di chi non c’era più, dei ristoranti stellati di cui si parla troppo e delle trattorie autentiche di cui si parla troppo poco. E così una serata che avevo immaginato lunga un’ora e nel silenzio assorto di chi è avvezzo a mangiare da solo si è trasformata in una kermesse gastro-umanistica di tre ore e numerosi quartini di rosso.

Alla Grande, cotoletta milanese

E veniamo al cibo. La carta è stringata, pochi piatti estremamente tradizionali. Mi viene portata una buona bruschetta al pomodoro come benvenuto, poi vengo indirizzato verso una pasta e fagioli corposa che innaffio di olio molto buono e verso un rognoncino trifolato con le patate insospettabilmente delicato e piacevolmente sapido. Dalla cucina invertono l’ordine di servizio (prima il secondo e poi il primo) e il Roberto si incacchia con la cucina, ma per me è solo uno dei tanti sovvertimenti dell’ordine precostituito di questa serata fuori dagli schemi. Sugli altri tavoli vedo arrivare una cotoletta che avrei voluto provare, e poi tagliatelle al ragù, del brasato, gnocchi che mi dicono fatti a mano. Baratto un dolce con del formaggio, il Taleggio vale.

Alla Grande

Il pane è buono, da bere ci sono alcune bottiglie ma non rinuncerei mai alla caraffa del rosso della casa. I prezzi sono uno dei punti forti del locale, se prendi antipasto+primo+secondo+dolce (ma chi lo fa più al momento?) superi di poco i 40 euro ma se non hai così tanta fame stai comodamente attorno ai 30 con un bicchiere di vino.

Unico problema: prenotare non è facilissimo, il posto ha i suoi habitué, la domenica e il lunedì è chiuso, il venerdì e il sabato (e talvolta anche il giovedì) si canta e si balla e, al telefono non sempre rispondono, il sito probabilmente è stato aggiornato l’ultima volta quando c’era il governo Monti, e insomma se riesci a parlare con qualcuno probabilmente – di solito Roberto – probabilmente ti dirà che non c’è posto. Io stesso ho atteso mesi prima che si allineassero i pianeti. Ma vale la pena impegnarsi un po’ per una serata come quella che ho vissuto io.

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