Lubna, il fuoco come elemento rigenerativo

Il nuovo ristorante aperto nel nuovo contenitore urbano tra Porta Romana e Fondazione Prada vive della scelta dello chef stellato Enrico Croatti di puntare sulla griglia come strumento ancestrale e intimo. E anche il bartender Giovanni Allario propone insoliti drink con note affumicate e bruciate. Un luogo che ruota attorno a una piazza trapezoidale e comprende anche uno spazio eventi e una galleria d’arte

Lubna, il fuoco come elemento rigenerativo
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Enrico Croatti nella terra del fuoco. Ha scelto uno degli elementi più ancestrali lo chef romagnolo per il suo secondo locale milanese, il Lubna che si appresta ad aprire in una zona di rigenerazione urbana a pochi passi da Porta Romana, Fondazione Prada e Fondazione ICA, che si aggiunge al Moebius Sperimentale in zona Repubblica che quest’anno ha conquistato la sua prima stella Michelin. La scelta del fuoco, e quindi della brace, non segue mode o tendenze ma si ricollega alla sfera più intima dell’inquieto Croatti, che racconta le sue radici e la sua anima. «Quando mi è stato chiesto di aprire un secondo locale – spiega Croatti - la cosa che più mi ha affasciato è trovare un nuovo contenuto per una città dove c’è già tutto. Se Moebius è contaminazione, volevo che fosse un progetto legato alle mie radici. In una città già satura di locali e di idee, non volevo parlare di avanguardia o di novità ma trovare un DNA intimo».

Un assaggio di quello che sarà Lubna è stato il menu proposto alla stampa specializzata nel corso di un pranzo: la Barbabietola sotto terra con fonduta di taleggio e nocciole, che una lunga cottura in una griglia Josper perde il suo liquida e acquisisce una masticazione da carne; la Lasagna su brace di legna, la ricetta classica traslata dal forno alla griglia, che pone la sfida di rivedere l’architettura del piatto creando una pasta di una consistenza in grado di trasformarla in una goduriosissima mattonella; la Grigliata mista di carne con salsiccia e coppa di cinta senese, biancostato di manzo e sella d’agnello, un piatto tipico delle trattorie dell’entroterra romagnolo, che qui acquisisce personalità metropolitana; l’Insalata invernale con radicchi e cipolloti con salsa grigliata all’aceto madre; e infine il Gelato di zuppa inglese alla crema con alchermes, ciambella alla griglia, cacao e cioccolato.

Lubna prende il nome, come Moebius, dal mondo del fumetto (era la giovanissima amante dell’androide coatto Ranxerox in un fumetto iconico degli anni Ottanta) e si definisce “listening restaurant bar” perché luogo di ritrovo fisico, che si sviluppa con una forma architettonica semicircolare che abbraccia la piazza centrale e che all’interno è dominata dalla grande sala con un unico grande bancone lungo 15 metri che riunisce postazione cocktail, cucina a vista e tavolo a cui accomodarsi. La parte dei cocktail è a cura del bar manager Giovanni Allario, che ha portato il bar del Moebius a scalare la classifica di The World’s 50 Best Bars, nella quale pochi mesi fa si è piazzato al 38° posto al mondo. L’approccio alla creazione liquida di Lubna è legato a filo doppio al cuore pulsante del locale: il fuoco. «Una intera sezione della carta – dice Allario - lavora su ingredienti freschi messi in relazione alla griglia: qui troviamo serviti cocktail che escono dalla struttura classica e si focalizzano più sull’esperienza aromatica tesa a sorprendere il cliente». Al bancone sarà possibile sperimentare cocktail strutturati in modo nuovo, dove affumicatura, cottura o ingredienti bruciati diventano protagonisti del drink con estrazioni come quella di olio al carbone, banane bruciate, rosmarino scottato. Cocktail complessi nella realizzazione, avanguardisti nelle tecniche ma eleganti e bilanciati nel gusto, come il Roasted Pumpkin e lo Yogurt Toreador Per chi vuole gusti più semplici e lineari ci sono gli highball, long drink ottimi anche in accompagnamento ai piatti della cucina, e i twist on classic.

Lubna rappresenta il cuore di un progetto di rigenerazione di un’area di 3mila metri quadri restituita alla città dopo decenni di abbandono. Un contenitore che nasce dall’idea dei quattro soci (Alberto Querci, Francesco Sicilia, Lorenzo Querci e Natascia Milia) che arrivano da mondi differenti e che hanno messo insieme differenti talenti, visioni e formazioni per creare un inaspettato contenitore il cui progetto è stato curato dallo studio Q-bic di Firenze e che comprende anche l’area eventi Magma e la galleria d’arte Scaramouche. «Ecco perché – spiegano i soci - abbiamo voluto pensare a una piazza trapezoidale, un luogo centrale che fosse l’esatto opposto del vuoto urbano precedente.

Uno spazio libero di socialità su cui si affacciano nuove attività. Entrarvi significa varcare una soglia che sospende il tempo, trasportando il visitatore in un contesto che sembra estraneo alla frenesia urbana milanese».

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