Una storia interessante quella di Ômina Romana, azienda relativamente giovane ma che ha rappresentato di certo una delle novità più interessanti del nuovo millennio in un territorio storico dell’enologia laziale eppure trascuratissimo, il Velletrano, tra le colline vulcaniche dei Castelli Romani e il Tirreno. Nel 2004 l’imprenditore tedesco Anton Börner acquista un’ottantina di ettari in località La Parata e negli anni successivi studia a fondo questa terra a Sud-Est di Roma. Pochi anni dopo nasce l’azienda Ômina Romana, che punta fin da subito a un posizionamento di alta gamma decidendo di cambiare letteralmente la storia enologica di quest’area da sempre dedicata a vini scattanti e beverini.
Lo stile aziendale è decisamente inconfondibile: studio, passione, consapevolezza del passato millenario del territorio anche da un punto di vista enologico (Ômina significa destino), nomi latineggianti che fanno riferimento alle divinità latine, rigore produttivo, il tutto racchiuso dalla definizione “mens et manus”, mente e mano. Ogni tipologia piantata è stata scelta in base alle caratteristiche del terreno e a quelle climatiche, ogni pianta è coltivata con l’idea di raggiungere il maggior punto di equilibrio, la resa di ogni pianta è volutamente bassa, le uve dopo la vendemmia vengono lavorate evitando qualsiasi forzatura, la vinificazione è condotta con calma, per evitare di sprecare con la fretta il lavoro precedente.
Le viti si trovano a circa 200 metri di altezza e a 25 chilometri dal mare e sono accarezzate di giorno dalla brezza fresca che soffia dalla costa mente la sera qualche brivido con il vento dai Colli Albani, ciò che garantisce una maturazione perfetta delle piante e un affilato profilo aromatico delle uve. Il succedersi delle stagioni è ben scandito: a inverni freddi ma non freddissimi seguono primavere temperate ed estati calde e assolate ma senza eccessi. Il terreno, vulcanico, reca con sé una mineralità potente e affascinante. I vini dopo la fermentazione affinano sulle fecce fini per almeno sei mesi in piccole botti di rovere francese di diverse tostature e poi riposano in bottiglia per il tempo che consenta loro di andare sul mercato al momento giusto.
Oggi l’azienda, che si estende su 82 ettari, 60 dei quali dedicati alla vigne e 10 a uliveti da cui nasci un vino extravergine d’oliva, è condotta con mano ferma dalla figlia di Anton, Katharina Börner Börner, affiancata dall’agronoma Paula Pacheco dagli enologi Claudio Gori e Simone Sarnà. I vitigni utilizzati sono per lo più internazionali: ri sossi Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Syrah, Petito Verdot e l’autoctono Cesanese e i bianchi Chardonnay, Viognier, Patit Manseng e Incrocio Manzoni. Io ho assaggiato tre etichette: il bianco Hermes Diactoros II è un blend di Viognier, Incrocio Manzoni, Petit Manseng e Chardonnay dal naso di frutta esotica, frutti maturi, erbe aromatiche e spezie con un finale balsamicoe una bocca elegante e salina. Il prezzo sull’e-shop aziendale è di 21.50 euro.
Poi ho assaggiato il magnifico Cabernet Franc della linea Ars Magna, che fa dai 18 ai 22 mesi in legno e poi 18 mesi in bottiglia e ne esce sontuoso in bocca ma prima energico al naso, con note vegetali e di spezie dolci. Il prezzo è impegnativo (99 euro per l’annata 2018) ma li vale tutti. Il terzo vino è il campione assoluto dell’azienda, il blend Ceres Anesidora I, da uve Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon che affina per 24 mesi in barrique e poi fa stretching per altri sei in bottiglia. Un vino con naso solenne, di frutta rossa, spezie dolci e note tostate, con una vaniglia data dal legno ma per nulla invadente, e di grande lunghezza. Un vino per il quale si può inventare a buona ragione la definizione di Super-Roman. Prezzo 125 euro.
Gli altri vini in carta sono i bianchi
Chardonnay, Chardonnay Ars Magna e Viognier Ars Magna, il Merlot Rosato e i rossi monovitigno Cesanese, Cabernet Sauvignon, Merlot, Merlot Ars Magna e Cabernet Sauvignon Ars Magna e i blend Diana Nemorensis e Janus Geminus I
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