Pascucci, lo chef e il mare

Il cuoco e patròn del Porticciolo di Fiumicino è diventato negli anni non solo uno dei migliori interpreti della cucina di pesce del Tirreno e dell’Italia tutta, ma l’incessante studioso e ambasciatore di un territorio che, a pochi chilometri da Roma, propone un ecosistema di sorprendente ricchezza, che dal mare e dalla duna si inoltra verso l’entroterra

Gianfranco Pascucci
Gianfranco Pascucci

Il mare. Poi la duna. Poi la macchia mediterranea. Poi i campi coltivati. Poi gli allevamenti. Un ecosistema completo che trova in uno chef il suo cantore e il suo interprete. Siamo a Fiumicino, nome che nel resto d’Italia evoca solo voli intercontinentali ma che per i romani, invece, significa pesce. Quello fornito giornalmente da una delle flotte di pescherecci più imponenti del Tirreno e dell’Italia tutta e che trova senso in un mercato vivo e ricco. Ciò che ha stimolato la presenza sul territorio di una grande dovizia di ristoranti specializzati, sempre affollati nei fine settimana della bella stagione.

Poi c’è Gianfranco Pascucci. Lo chef cantore e interprete di cui sopra. Uno a cui il sindaco di Fiumicino dovrebbe intitolare in vita una piazza bella grossa per quanto ha fatto per il territorio partendo dal ristorante che lui ha aperto nel 2000 quando, da chef autodidatta, rilevò con la compagna Vanessa un locale che era stato del nonno, poi era stato rilevato da estranei ed era fallito. Qui Gianfranco ha costruito la sua cucina fatta di iodio e di salsedine, di inquietudini e di dubbi, contribuendo a dare una precisa identità a un territorio che era in cerca di autore.

Pascucci una sala

Non tutto è stato semplice per Gianfranco. “I primi tempi – mi racconta – il ristorante era sempre vuoto e vivevamo solo grazie alle stanze che avevamo al primo piano”. Poi è stato scoperto dai critici, dagli appassionati, da chi aveva antenne per capire che in quel locale apparentemente anonimo di via Fiumara che all’epoca si chiamava il Porticciolo e ora è Pascucci al Porticciolo stava accadendo qualcosa. Sono arrivati i riconoscimenti, la stella Michelin attribuita nel 2012 e mai più persa. Gianfranco è diventato anche un volto televisivo grazie alle comparsate al Pranzo è servito di Antonella Clerici e a più dotte trasmissioni su Gambero Rosso Channel nelle quali si prodigava per raccontare l’Italia delle isole e del mare.

Pascucci è considerato – a buona ragione – uno dei più acuti interpreti della cucina di mare d’Italia. Il pesce per lui è materia vasta e viva, ingrediente fin da quando è in acqua, ma non solo: Gianfranco pensa che il mare incominci fin dal suo entroterra, dalla macchia mediterranea da cui attinge certe erbe profondamente identitarie (“il mirto, qui, non è quello della Sardegna, forte e quindi adatto ad accompagnare il porceddu. E’ più delicato e si sposa con il pesce”), dalla dune dell’oasi Wwf di Macchiagrande che offre erbe, radici e alghe che arricchiscono i suoi piatti trasformandoli nel racconto di un intero biosistema. Che diventa anche sistema umano dal momento che incessante è il lavoro di Gianfranco per scovare e valorizzare tutti gli artigiani, i contadini, i produttori di un territorio dannatamente ricco e stanco di vivere all’ombra di quel grande buco nero che è la vicina capitale.

Il team Pascucci

Non mangiavo da Pascucci al Porticciolo da molti anni e ho trovato che la cucina di Gianfranco ha superato, nel frattempo, numerosi livelli di gioco, collocandosi ora a un grado di maturità, di consapevolezza, di essenzialità davvero rimarchevole. La sua capacità di utilizzare ogni singola parte del pesce, di mettere sul red carpet anche il pesce più povero, di rendere alcuni piatti quasi “politici” (lancinante la riflessione del Fusillo al nero in un mare di plastica che vuole essere un grido di allarme contro l’inquinamento dei nostri mari ma riesce anche a essere un piatto maledettamente buono), di utilizzare tutti i registri della marinitudine (lo iodato, il salmastro) senza però spingere troppo sul pedale del “famolo strano” rende un pasto al Porticciolo un’esperienza davvero movimentata, mai noiosa, estremamente intensa. Tra i piatti che maggiormente mi hanno colpito cito la Royale di mare, crema di miso, lupino, caviale nero Kaluga Amur, olio alle erbe, olio al peperone e amaranto leggermente scottato che riesce a evocare il senso di uno spaghetto alle vongole.

L’Ostrica con salsa all’acetosella e la partecipazione straordinaria di una granita al cioccolato bianco. Il Carpaccio di ricciola marinata nell’alga marina, alga marina, sedano, caviale Kaluga Amur, salsa in ceviche, piatto di spirituale asciuttezza. Il più rotondo Gambero rosso di Fiumiicno, yogurt di Ammano, spuma al pisellino e kiwi, che gioca sull’equilibrio tra dolcezza, grassezza e scossa acida. L’Assoluto di mazzancolle, che fotografa questo ingrediente in differenti pose. Il celebre Spaghetto al pomodoro, perfettamente eseguito, con una nota di acidità garantito dalla crema di mitili e ostrica, dalla maggiorana e dal plancton con sopra un carpaccio di leccia che si cuoce leggermente con il calore della pasta. Soprattutto una memorabile Triglia croccante con panure di frutti rossi, terrina al foie gras e tocco di zafferano. E una Ricciola cotta con il Kamado, una sorta di barbecue giapponese, che viene prima presentata trionfalmente sotto forma di testa su un letto di alghe marine ed erbe del territorio (lentisco, mito, alloro, rosmarino) e poi riportata in tavola sporzionata con pezzi di guancia e sottogola che ricordano da vicino un bollito di carne. Infine il dolce: un predessert con sorbetto alla fragola, spuma di Gastrofighetti gin e oliva nera di Gaeta e poi una Consistenza di limone, nocciola e gianduia, namelaka elegante e “waferosa”.

Che cos’altro dire? Che la sala è elegantemente marina, con tocchi che non scadono mai nell’oleografia. Che la carta dei vini è lunga e larga con naturalmente una predilezione per le bollicine (notevole l’assortimento di Champagne) e per i bianchi italiani.

Che il personale di sala si muove con grazia e competenza, governata dalla bravissima Vanessa, dimostrazione vivente dell’importanza che ha nella ristorazione contemporanea il servizio. Di Gianfranco Pascucci parleremo ancora, perché un articolo non basta per tanta cultura e umanità.

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