Torino che mangia: dal fine dining alle piole

Il capoluogo piemontese propone una scena gastronomica vibrante e calorosa: dall’avanguardia di Condividere e Unforgettable al classicismo di Carignano e Dal Cambio al vegetale creativo di Chiodi Latini. E poi le tante trattorie tradizionali

Matteo Baronetto.
Matteo Baronetto.

Città da sempre importante nella gastronomia italiana (qui sono stati inventati tra l’altro il caffè espresso e il tramezzino) e ricca di ristoranti borghesi ed eleganti, negli ultimi anni Torino ha spesso sofferto la vicinanza con Milano (55 minuti di treno hanno molto accorciato le distanze) e con la sua vivacità travolgente. Resta comunque una capitale del food italiano, con una scena stellata davvero interessante e con alcune autentiche piole per chi ama le tradizioni familiari.

Partiamo dal fine dining. Torino si divide in une, come nel calcio. Locali blasonati e molto classici e insegne trasgressive e di avanguardia. Alle prime appartengono certamente Vintage 1997 in piazza Solferino 16h, con la sua cucina rassicurante in un ambiente intramontabile, e apparterrebbe in fondo anche il Carignano in via Carlo Alberto 35, se poi in cucina non ci fosse quel genio non imbrigliabile di Davide Scabin, letteralmente rinato, che propone menu enigmatici e piatti come il Cx5+9.3, che è una zuppa ghiacciata di cipolla. A metà strada si trova il Del Cambio in piazza Carignano 2, dall’estetica parigina (ma c’è anche una sala interamente decorata da Michelangelo Pistoletto) ma con una cucina davvero interessante, quella di Matteo Baronetto, uno per cui una sola stella è davvero poco: la sua capacità di interpretare la cucina regionale e al contempo di far evolvere il suo pensiero con il tempo ha davvero pochi eguali a Torino.

Chiodi Latini

I due menu attuali (Ri-velare e S-velare) riflettono questa doppia anima: nel primo tradizione, nel secondo puro pensiero. Alla compagine dei tradizionalisti iscriveremmo con un po’ di esitazione anche Andrea Larossa, che nel suo locale omonimo in via Sabaudia 4 propone una cucina solidamente regionale ma con semi di curiosità che germogliano in piatti davvero interessanti, Torino vanta anche il ristorante più alto d’Italia, il Piano35 arrampicato in cima al grattacielo Intesa San Paolo, che a 167 metri (e 25 centimetri) occupa la serra bioclimatica in un progetto che comprende il bel ristorante di Marco Sacco (ma in cucina c’è Christian Balzo) e il lounge bar. Balzo propone tre menu ispirati l’uno al Piemonte, l’altro al Giro d’Italia e il terzo alle proposte del Piccolo Lago di Mergozzo, il ristorante bistellato di Sacco.

Negli ultimi anni il ristorante che ha fatto più parlare di sé a Torino è stato Condividere, nel quartiere generale di Lavazza al quartiere Aurora (via Bologna 20a). Lo chf Federico Zanasi si ispira a Ferran Adrià per ingredienti e tecnica impeccabile, ma il vero punto forte sono l’ambiente informale e studiato per la socialità, le scenografie di Dante Ferretti e l’idea di proporre caffè e dolci in una saletta a parte, ciò che movimenta la serata. Altro locale che spariglia le carte è Unforgettable, in via Lorenzo Valerio 5b. L’idea è di Christian Mandura: un solo menu servito per tutti i clienti nello stesso luogo (un bancone da dieci coperti) e allo stesso momento, in una sorta di omakase all’italiana. Fantasia sfrenata, gioco a tutto campo della brigata, il vegetale che chiede spazio alle proteine (che comunque ci sono), provocazioni a secchiate. Alla schiera degli irregolari torinesi appartiene per destino anche Marcello Trentini, alias Magorabin.

L'interno di condividere.
L'interno di condividere.

Nel suo locale così denominato, in corso San Maurizio 61d, propone da oltre vent’anni una cucina di memoria e di viaggio ricca di invenzioni. E poi la compagna di avventura Simona Beltrami ne pettina con delicatezza i nodi caratteriali, gestendo la sala con rara eleganza. Accanto c’è anche Casa Mago, un bel lounge bar dove Trentini si ricarica a fine servizio. Detto del Cannavacciuolo Bistrot, che in via Umberto Cosmo 6 propone l’idea di cucina del grande (in tutti i sensi) chef campano reinterpretati da Emin Haziri, che ne fa un vero manifesto della cucina italiana, ci piace spendere qualche parola per Antonio Chiodi Latini, il “cuoco delle terre”, che nell’omonimo locale in via Bertola 20b propone una cucina vegetale creativa da molto prima di qualsiasi moda: qui si cerca l’assolutezza del sapore attraverso ingredienti provenienti da terre coltivate con il massimo rispetto. I menu sono modulari, i piatti roba come i Nervetti di rapa, il Topinambur alla cenere, il Bianco di cavolfiore.

Ma come detto Torino è anche città di piole, come si chiamano qui le osterie tipiche focalizzate sui grandi piatti della tradizione regionale, solo in qualche caso elettrizzati da un tocco creativo. Come in Consorzio (via Monte della Pietà 23), dove da anni Andrea Gherra e Pietro Vergano perseguono la loro idea di cucine apparentemente povera ma estremamente nobile e pensata, in equilibrio tra quinto quarto, evoluzione e un carrello dei formaggi giustamente noto. Se chiedete ai torinesi di suggerirvi una piola in molti vi indicheranno Scannabue (largo Saluzzo, 25h), un bistrot curato e con una proposta solida e bene eseguita.

Altre piole da provare sono Le Ramine in via Isonzo 64 (cucina tradizionale ma con prodotti di alto lignaggio), Le Putrelle in via Valperga Caluso 11 in zona San Salvario (affidabilissima), Il Caffè dell’Orologio in via Morganti 16 (aperta nel 2022 ma già con una solida fandome), Da Cianci Piola Caffè in largo 4 Marzo 9b (una piola di nuova concezione, sempre affollata e dai prezzi particolarmente amichevoli) e la Piola Da Celso in via Verzuolo al 40b (a gestione casalinga).

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