Greta Thunberg getta la spugna: "Lascio il megafono". Così si sgonfia il fenomeno mediatico

Sono passati quattro anni dal primo sciopero per il clima dell'attivista svedese. Rimarrà uno dei fenomeni mediatici più controversi del nuovo Millennio, tra indiscutibili successi e contraddizioni

Greta Thunberg getta la spugna: "Lascio il megafono". Così si sgonfia il fenomeno mediatico

Greta Thunberg si è detta pronta a lasciare il testimone. Quattro anni dopo aver lanciato il suo "Sciopero scolastico per il clima", l'attivista svedese ha affermato di voler lasciare il megafono della protesta alle persone più colpite dai cambiamenti climatici. "Dovremmo anche ascoltare i resoconti e le esperienze delle persone più colpite dalla crisi climatica. È ora di consegnare il megafono a coloro che hanno davvero storie da raccontare", ha detto all'agenzia di stampa svedese TT. Cosa farà ora Greta, non è dato saperlo: Thunberg frequenta l'ultimo anno di liceo a Stoccolma e ha affermato che non ha ancora deciso cosa farà dopo essersi diplomata. "Vedremo. Se dovessi scegliere oggi, sceglierei di continuare i miei studi. Preferibilmente qualcosa che ha a che fare con problemi sociali". A quattro di distanza possiamo fare un piccolo bilancio di quello che è stato uno dei fenomeno mediatico-politici del nuovo Millennio, carico di mille contraddizioni e ombre.

Addio alle armi (dell'attivismo)

Con il passaggio di testimone annunciato da Greta Thunberg, si chiude a suo modo un'epoca. Da una parte, è innegabile che Greta - e coloro che l'hanno spinta verso la fama mondiale - abbiano raggiunto tutto ciò che volevano. Hanno raccolto le adesioni di milioni di giovani in tutto il mondo, l'attivista ha parlato alle Nazioni Unite, al World Economic Forum di Davos, è stata ricevuta da tutti i capi di stato mondiali come una vera superstar. Il tema dei cambiamenti climatici è entrato a far parte del linguaggio quotidiano ed è in cima a tutte le agende politiche mondiali, Unione europea compresa. Poi, a febbraio 2020, è arrivata la pandemia da Covid-19 e ha scombinato tutti i piani dell'attivista e del suo team.

Il dibattito sui vaccini e sulle misure anti-Covid ha sacrificato sull'altare la giovane Greta, con il coronavirus che sembrava aver inferto un colpo fatale alla spinta mediatica che sorreggeva il fenomeno Thunberg. Poi, quando la ripresa post-Covid sembrava poter riaprire le porte a Greta e gli attivisti del climaticamente corretto, è arrivata l'invasione russa dell'Ucraina. E questo è davvero stato il colpo di grazia per la giovane attivista svedese, che ha faticato, sempre di più, a ricevere le attenzioni di cui godeva soltanto qualche mese prima. Gli stati, complice la crisi energetica, hanno riaperto le centrali a carbone e per emergere dalla condizioni di semi-anonimato, Greta ha dovuto spendere belle parole addirittura per il nucleare. Dichiarazioni che hanno fatto arrabbiare gli ambientalisti chic più radicali che fino a poco temo prima la venerano come una sacerdottessa.

Si chiude un'era

Un bilancio chiaroscuro, dunque, quello che lascia in eredità Greta. Che forse proverà a vivere un po' quell'adolescenza che rischiava di perdere del tutto se inghottita nei fumi della fama mondiale e delle mode del momento: che prima ti ergono a "rockstar" salvo poi scaricarti quando non sei più così "cool" o, semplicemente, non fai più tendenza. Con il suo passo di lato, l'auspicio è che si aprano spazi per discutere dei cambiamenti climatici senza quell'allarmismo che sconfinava nel millenarismo di marca apocalittica di cui erano intrise le sue posizioni. Il suo marchio di fabbrica. Perché Greta, soprattutto nel primo periodo, era diventata una religione, un dogma indiscutibile. Dogma che si è sciolto in un mare di ombre e contraddizioni.

Certo è che se la sua eredità è rappresenta dagli eco-attivisti radicali che si sono incollati le mani sui capolavori di Goya o hanno preso di mira Van Gogh, allora sarà complesso trattare la tematica ambientale senza radicalismi. Tutto sta ora nelle mani di chi ora prenderà in mano il megafono di Greta.

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