Quella legge "vietata alle donne". Così Lidia Poët fece la storia

Quando legge impediva di esercitare la professione dell'avvocatura alle donne, Lidia Poët fece la sua parte per dimostrare il contrario, diventando la prima donna iscritta all'albo degli Avvocati in Italia

Quella legge "vietata alle donne". Così Lidia Poët fece la storia

A qualcuno piace chiamarla avvocata, com'è di moda fare oggigiorno. Ad altri avvocatessa. Ma sarebbe meglio iniziare col dire semplicemente che Lidia Poët, nata in un piccolo comune piemontese nel 1855, è stata la prima donna a entrare nell'Ordine degli Avvocati in Italia. E ora è diventata anche la protagonista di una serie tv.

Le origini

Ma chi era Lidia Poët? Nata da una famiglia benestante originaria del Pinerolese, in un paese che contava poche anime e conosceva bene le fatiche e il freddo di montagna, era l'ultima di otto figli tra fratelli e sorelle. Iscrittasi al "Collegio delle Signorine di Bonneville", a Aubonne, in Svizzera, questa caparbia biondina piemontese conseguì nel 1871 la patente di Maestra Superiore Normale, e quella di Maestra di inglese, tedesco e francese tre anni dopo, nel 1877.

Il suo desiderio tuttavia, presto annunciato anche alla famiglia, non era quello di insegnare, bensì quello d'intraprendere lo studio della Legge. "Che faccia la calza e, se proprio ha fame di scienza, pigli il diploma da maestra, come fanno le altre", pare abbia commentato il padre che aveva concesso il plauso di tale scelta ai fratelli maggiori, ma non a lei in quanto femmina. Udire qualcosa del genere deve averle provocato una delle tante piccole scintille che accendono nella mente umana qualcosa di migliore della semplice ribellione che sfocia in rivoluzione: deve aver acceso la caparbietà adamantina che conduce alla padronanza di un'esistenza devota al raggiungimento dell'obiettivo che ci si è prefissi.

Una vita per la legge

Così, dopo la morte del padre, Lidia si iscrisse all'Università a Torino. E dopo un breve interludio alla facoltà di Medicina, accedette alla facoltà di Legge con il supporto del fratello Giovanni Enrico, il quale - evidentemente e a differenza del padre - aveva colto le qualità della sorella, che poteva tranquillamente diventare cultrice della materia. Lasciando fare la calza alle donne che si contentavano di spender a quel modo il tempo della loro vita.

Lidia conseguì difatti la laurea nei tempi stabiliti e a pieni voti, discutendo il 17 giugno del 1881 una tesi sulla "Condizione della donna rispetto al diritto costituzionale e al diritto amministrativo nelle elezioni". Nei due anni seguenti, spostatasi a Pinerolo, fece pratica legale nell'ufficio dell'avvocato e senatore Cesare Bertea. E terminato il praticantato con un voto di quarantacinque/cinquantesimi, si apprestò a concludere il percorso per la completa abilitazione alla professione forense ed essere iscritta all'albo degli Avvocati e Procuratori legali di Torino.

Non esistendo alcun tipo di norma che proibisse alle donne in quanto tali l'abilitazione alla professione di Avvocato, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino - a seguito di una votazione che vedrà 8 favorevoli e 4 contrati - accolse la domanda d'iscrizione della Poët rendendola la prima nel suo genere in Italia e precisando come “a norma delle leggi civili italiane le donne sono cittadini come gli uomini". Era il 9 di agosto del 1883.

Lidia Poet

Questa bella storia sarebbe terminata qui se solo la Corte d’Appello di Torino non avesse accettato il ricorso di Giuseppe Moggi, Procuratore Generale del Re, annullando l’iscrizione della giovane avvocatessa, secondo l'assunto che "la professione forense fosse un pubblico ufficio e come tale vietato alle donne". Questo indusse la stessa Cassazione a confermare l’esclusione delle donne dalla professione di avvocato. Nei pubblici uffici, sostenevano, capitava di "accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene osservare”. A queste tesi si accostavano poi giustificazioni di carattere medico e morale, tra la tutela delle "fanciulle oneste" e il timore del loro charme o della "cagionevolezza" della loro salute.

Alla Poët quindi, che tanto s'era battuta e tanto aveva fatto per ottenere ciò che le spettava - sebbene proprio in punta di diritto le fosse stato negato - non rimase altro se non esercitare la professione non a pieno titolo, appoggiandosi al fratello Giovanni Enrico, e occupandosi precipuamente della difesa dei diritti dei minori, degli emarginati e delle donne. Sostenendo politicamente la causa del suffragio universale.

Il suo esempio

Secondo quanto riportato dai testi dedicati negli ultimi anni alla sua singolare storia - citiamo tra questi Lidia Poët, una donna moderna - Dalla toga negata al cammino femminile nelle professioni giuridiche di Clara Bounous e Lidia e le altre di Chiara Viale - la nostra protagonista passò lunghi anni "redigendo atti e pareri che non poteva firmare per cause che non poteva discutere", ma facendosi benvolere dai clienti dello studio che in un modo o nell'altro entrarono in contatto con la sua professionalità e il suo animo gentile e caparbio.

Lo stesso animo che la portò a prendere servizio come infermiera della Croce Rossa Italiana durante il primo conflitto mondiale, e che se confermato - attualmente gli archivi sono in fase di riordino - a essere insignita della Medaglia d’argento sul campo.

Ma non fu quello il vero riconoscimento che avrebbe ottenuto da quella guerra e dai suo cambiamenti. Il 17 luglio del 1919 venne abrogata la legge riguardante l’istituto dell’autorizzazione maritale e con esso ciò che prevedeva l'articolo 7, ammettendo le donne all'esercizio di tutte le professioni - al pari degli uomini -. Impieghi negli uffici pubblici compresi se non per poche ultime eccezioni.

All'età di 65 anni, Lidia poté finalmente iscriversi all’albo degli Avvocati e discutere le cause a lei affidate. Rimasta nubile, morì nel 1949 di fronte al mare, in Liguria. Ma venne sepolta sulle montagne che l'avevano vista crescere bella e bionda. Perché in tutto questo non avevamo detto che Lidia Poët veniva considerata una bellissima donna. Ragion per cui non c'è alcuna "incongruenza" del vederla interpretata da Matilda De Angelis in una serie tv che si apre con una celebre frase: "Se Dio ti voleva avvocato, non ti faceva donna".

E invece Dio la fece Lidia Poët.

Che - considerato ciò che ci insegna questa storia - è anche qualcosa di meglio di un'avvocatessa. Ne ha fatto un esempio d'emancipazione per tutte coloro che hanno seguito le sue orme e difeso altrettante donne vessate dalla storia.

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