La cultura va promossa ma anziché okkupare rivaluti gli spazi pubblici

di Mimmo Di Marzio

Dal Comune alla Comune il passo è breve, quello di appena una sillaba. E Macao, per assonanza, ricorda tanto Macondo, la città surreale del genio narrativo di Garcia Marquez. Di surreale la vicenda dei «lavoratori dell’arte» ha davvero tanto, da teatro dell’assurdo. La prima cosa assurda, è innegabile, è che a un passo dal centro esistesse un grattacielo di 33 piani vuoto da 15 anni, e proprio nel cuore della futura «city» - Porta Nuova- in cui stanno sorgendo nuovi grattacieli come funghi. Non meno surreale è che l’okkupazione dei «lavoratori dell’arte» avvenga a poche centinaia di metri da quella «stecca degli artigiani», ex complesso industriale della Brown Boveri, che fu occupata negli anni ’80 da un gruppo di artisti e qualche anno fa demolita dal Comune per far spazio al nuovo quartiere dei grattacieli. Ma forse la cosa più surreale di tutte è la benedizione da parte delle autorità comunali (l’assessore alla Cultura Boeri ha fatto visita agli occupanti e da New York ha speso parole sull’iniziativa) nei confronti di un progetto totalmente arbitrario nella forma e nella sostanza. «Ora avremo la dimostrazione che il vento è cambiato, oppure no» dice con una punta di sfida uno degli occupanti-elettori in un video diffuso su internet. Come a dire: se Pisapia ci farà sgomberare, vuol dire che è uguale ai predecessori. Qualcosa non torna. Perchè se è sacrosanta la richiesta di spazi per la cultura e per i giovani, è altrettanto vero che è tutt’altro il vento che i milanesi si aspettano possa soffiare da Palazzo Marino. Anzitutto l’apertura degli spazi pubblici al floridissimo associazionismo culturale milanese e, casomai, la concessione gratuita o a prezzi calmierati di immobili demaniali inutilizzati o affittati come location agli operatori di Saloni e fuorisaloni di cui è fitto il programma cittadino. Perchè, ad esempio, anzichè avventurarsi in progetti museali per i cui contenuti mancano completamente le risorse, non destinare alle associazioni dei tanti «lavoratori dell’arte» (soltanto per la musica la città ne conta un centinaio) le migliaia di metri quadri dell’ex officina Ansaldo? E perchè - anzichè legittimare l’anarchia di Macao come fosse una panacea - non far rientrare nella voce arte e cultura il progetto di riuso temporaneo di spazi abbandonati promosso dall’assessore Daniela Benelli e dal Politecnico, un mare magno di ex cascine, ex mercati rionali (come quello di XXII marzo), ex cinema (come il Maestoso di corso Lodi), ex stazioni ferroviarie (come la Bullona), ex caselli di dazio eccetera eccetera? Perchè non istituire dei regolari bandi di concorso per concedere anche temporaneamente (ma non abusivamente) immobili da riattare come ad esempio è stato nella faticosa ma interessante esperienza di Cascina Cuccagna?
Forse un grattacielo in centro ha più appeal di una cascina in periferia? Eppure, come per altro più volte sbandierato dagli stessi amministratori della Giunta, proprio le periferie dovrebbero essere il cuore pulsante del cosidetto sistema della cultura, con l’istituzione di luoghi che siano da un lato strumento di rivalutazione del territorio, dall’altro voce di quartieri densi e vitali (a differenza dei vuoti del centro).

E, a proposito di spazi nel centro storico, che fine hanno fatto i progetti di recupero di teatri abbandonati come il Lirico e il Porta Romana, entrambi di proprietà del Comune? Ma forse, anzichè assumersi fino in fondo la responsabilità e il rischio, può essere più facile delegare all’onda di movimenti «culturali» armati di slogan come l’aforisma che campeggia nell’home page del sito di Macao: «L’uomo indebitato è trasversale, richiede nuove forme di solidarietà, di cooperazione e di lotta, e la reinvenzione di una democrazia capace di riconfigurare e reintegrare il politico, il sociale e l’economico». Viva l’arte.

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