Benito? Un socialista (quasi) puro

Esce un libro ricco di nuovi particolari sul periodo rosso di Mussolini. Che influenzò anche il Fascismo

Benito? Un socialista (quasi) puro

«Il mio fucile non saprà mai tradire la causa della rivoluzione». Oppure: «Espulsione!... Fuori dal Partito socialista... una buona volta e per sempre per i tafani democratici!». Chi sta parlando? Che Guevara? Amedeo Bordiga che vuol fondare il Pci? Forse Lenin stesso?

No, è farina del sacco del compagno Benito Mussolini. E queste frasi sono solo esempi tratti da una sterminata messe di lettere e di articoli. Perché gli anni da socialista di Mussolini sono stati tanti, almeno dal 1903 al 1914, se si conta soltanto la militanza vera e propria (mentre occorre risalire all'infanzia se si tiene presente l'influenza del padre Alessandro, fabbro e fervente socialista). E in quegli anni Mussolini fu soprattutto un giornalista prolifico, noto per la capacità di stregare i lettori, anche ben prima di diventare direttore dell'Avanti! (nel 1912 subentrò al molto più moderato Treves, raddoppiando il numero di copie vendute).

Su quegli anni spesso la storiografia ha glissato o si è accontentata di studi parziali. A destra non faceva simpatia quel retaggio tutto proletariato e lotta di classe. A sinistra andava minimizzato, considerando semplicemente Mussolini un opportunista traditore (strategia inaugurata da Angelica Balabanoff, sponsor e forse amante del Benito “rosso”). Servirebbe, invece, un'analisi più attenta e meno ideologica. Un punto di partenza può essere una mostra inaugurata in settembre a Predappio e intitolata «Il giovane Mussolini. 1883-1914». E anche un volume che verrà pubblicato oggi da Rubbettino: Il compagno Mussolini. La metamorfosi di un giovane rivoluzionario, di Nicholas Farrell e Giancarlo Mazzuca (pagg. 348, con una prefazione di Vittorio Feltri). Come la mostra, Il compagno Mussolini presenta una serie di documenti inediti provenienti dall'archivio privato del collezionista Franco Moschi, uno dei più importanti d'Italia.

Ad esempio la frase che abbiamo citato all'inizio di questo articolo è tratta da una missiva ad Alfredo Polledro, importante socialista e sindacalista rivoluzionario, datata 2 aprile 1905. Da essa si capisce chiaramente come già nel 1905 Mussolini ritenesse improponibile qualsiasi percorso riformista. Dice di aver ormai «lasciato per via la più gran parte della tradizionale ideologia socialista, compresa la fede beata nei risultati di quelli che tu chiami trastulli parlamentari». Però rifiuta ogni azione “avventurista” che non passi dal conquistare il popolo: «Tu credi che conquistato l'esercito anche il problema dell'organizzazione materiale armata sia in gran parte risolto... ma è necessario prima di conquistare l'esercito armare il popolo». Ed è proprio da dettagli come questi che Farrell e Mazzuca costruiscono un quadro nuovo delle scelte del giovane Mussolini.

Il caso forse più rilevante è quello della scelta interventista che portò alla rottura con il partito socialista, iniziata con il famoso articolo apparso sull'Avanti! il 18 ottobre 1914 e intitolato «Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante». Dal lavoro di Farrell e Mazzuca emerge che Mussolini subì un lungo travaglio interiore su quel tema e che il suo interventismo si sposava con quello di altri socialisti. E anche nel fondare Il popolo d'Italia una volta abbandonato Avanti! Mussolini contò su un solido appoggio del partito socialista francese e sui fondi inglesi (su cui Farrell e Mazzuca hanno fatto un piccolo scoop compulsando gli archivi di Oxford e ridimensionandone l'entità). Insomma, non si può dire che il suo fosse un voltafaccia al soldo degli industriali italiani interventisti, come spesso si è detto. Ben prima del cambio di posizione sulla guerra, Mussolini considerava gli Imperi centrali i campioni della reazione. Molto belle anche le pagine dedicate dai due giornalisti-studiosi al modo in cui Mussolini intendeva il socialismo e la politica. Il futuro Duce del fascismo fu affascinato dagli studi dell'antropologo e psicanalista francese Gustave Le Bon, autore de La Psychologie des foules, edito nel 1895. Il libro gli lasciò impressa l'idea che la vera e unica forza politica fossero le masse, e che le masse agiscono per fede, non per intelletto: «Che importa al proletario di capire il socialismo come si capisce un teorema? E il socialismo è forse riducibile a un teorema?».

Proprio il fascismo fu uno dei movimenti politici più simili ad una fede. Ecco che allora le linee di continuità appaiono sempre più evidenti. Non piacciono a chi vuole una storia fatta di icone buone e cattive? Pazienza.

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