Nato a Panama nel 1928, figlio di un illustre ambasciatore, lo scrittore Carlos Fuentes, scomparso ieri, è stato uno dei maggiori interpreti del romanzo latinoamericano, assertore di una cultura meticcia, plurirazziale, depositaria dei valori della tolleranza e del rispetto delle minoranze. Romanziere e critico letterario - è stato insignito di prestigiosi riconoscimenti internazionali e più volte candidato al Premio Nobel -, Fuentes ha soggiornato a lungo in Europa, soprattutto in Francia come ambasciatore del Messico, ma anche in Inghilterra e in Italia, entrando in contatto con molti intellettuali, tra cui Moravia, Pasolini, Vittorini.
Fra le sue opere, da ricordare il romanzo La regione più trasparente (1958), un quadro impressionante della borghesia della capitale del Paese, colta in un ampio arco temporale, che va dal 1907 agli anni ’50, dove la mescolanza dei diversi livelli linguistici - orale, televisivo, giornalistico, commerciale - gioca a restituire un variegato spaccato sociologico del Messico. Una tecnica che richiama le sequenze apparentemente caotiche del linguaggio filmico, e al contempo si nutre di Joyce e Faulkner. L’impianto stilistico e il tema della denuncia sociale continuano in La morte di Artemio Cruz (’62). Più dirompente, per la carica eversiva e la suggestione erotica, è Cambio di pelle (’67), che di nuovo propone audaci sperimentazioni formali.
La ricerca di un’identità nazionale, da salvare dalla tendenza globalistica, è ancora visibile nelle prove più recenti, a partire da Una famiglia lontana (’80) e Il gringo vecchio (’85), per giungere ai racconti e saggi che ripropongono la denuncia di un mondo perduto, l’antica Città del Messico, ora sopraffatta dagli affari e dalla corruzione politica.
Nel 2000 esce L’istinto di Inez, storia di una donna che s’innamora di un uomo fuori dal tempo ed è costretta a cercarlo nei labirinti della mente.
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