Anna Frank e la sua famiglia avrebbero potuto sopravvivere all'Olocausto, se solo gli Stati Uniti avessero concesso loro il visto d'ingresso.
L'autrice del celeberrimo Diario e i suoi parenti avrebbero potuto evitare la deportazione e la morte nei campi di concentramento, stabilendosi a Boston. Nel 1941 il padre di Anna, Otto, iniziò le pratiche per il rilascio del visto per sé e per la famiglia, ma le pratiche vennero annullate dopo l'entrata in guerra di Giappone, Italia e Germania contro gli Usa.
A gettare luce su questa vicenda è stata una ricerca del 2007 condotta dall'Institute for Jewish Research, ripresa ieri dal Washington Post, che sottolinea le affinità tra la vicenda dei Frank e degli altri ebrei in fuga dall'Europa nazista e quella dei migranti che oggi scappano dalle guerre.
""Gli sforzi di Otto Frank per tentare di portare la famiglia negli Stati Uniti si scontrarono con le politiche di immigrazione restrittive imposte per proteggere la sicurezza nazionale e contro l'afflusso di stranieri durante la guerra - scrisse nel 2007 il professore di storia americana, Richard Breitman, dopo aver scoperto i documenti, una ottantina di pagine, che raccontano l'odissea della famiglia - Il governo americano stava rendendo più difficile per gli stranieri
entrare nel Paese mentre i nazisti stavano complicando l'uscita dall'Europa".Anna Frank morì con la sorella e la madre nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, ammalandosi di tifo. Se fosse viva, oggi avrebbe 86 anni.
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