«L'evoluzione ha fatto sì che il movimento ci faccia bene», e ha fatto in modo che non sia vantaggioso solo per il corpo, ma che abbia «effetti benefici anche sul cervello». Il cervello è il campo di Shane O'Mara, neuroscienziato irlandese che insegna Experimental Brain Research al Trinity College di Dublino, dove è direttore di ricerca. O'Mara dichiara di essere «un neuroscienziato che ama camminare» ed è anche per questa sua passione che ha deciso di occuparsi di un argomento poco usuale, in cui però le ricerche hanno fatto grandi progressi negli ultimi vent'anni, ovvero «come il nostro cervello vede il mondo attraverso i piedi»; ne è nato Camminare può cambiarci la vita (Einaudi, pagg. 192, euro 13, traduzione di Elisabetta Spediacci), un saggio breve, piacevole e molto serio sulla necessità di rimetterci in moto e di sfruttare un grande privilegio che la natura ha donato soltanto a noi.
È proprio così? Camminare è ciò che ci caratterizza come umani, tanto quanto il linguaggio?
«Assolutamente. Camminare ci ha cambiato in modo notevole perché, stando eretti, le nostre mani sono diventate libere di fare le cose, di indicare, di compiere gesti, di trasportare un bambino, di utilizzare gli strumenti, di afferrare il cibo... Tutte cose che, su quattro gambe, non si possono fare».
È solo una questione pratica?
«La posizione eretta della testa, che si può muovere liberamente, cambia il modo in cui ci relazioniamo con il mondo. La nostra testa è mobile, e questo è un fatto straordinario, anche se per noi è ovvio. Noi siamo gli unici a poter camminare insieme, per esempio per protestare».
È così che abbiamo, letteralmente, conquistato il pianeta?
«Certo. Consideriamo i nostri parenti più stretti, gli scimpanzé: ebbene, noi possiamo percorrere il doppio della distanza, a parità di dispendio energetico, quindi il nostro modo di camminare è molto efficiente. Gli esseri umani sono usciti dal continente africano camminando, non a bordo di un'automobile, ed è sempre così, camminando, in gruppi di famiglie o di piccole tribù, che si sono spostati».
Un'impresa.
«Beh, in media un essere umano può percorrere 15 chilometri al giorno senza problemi; il che vuol dire 150 chilometri in dieci giorni, 300 in venti e, così via... Sono molti, molti chilometri. Le varie famiglie e tribù si sono fermate in insediamenti dai quali altri membri si sono mossi e, a mano a mano, hanno popolato tutta l'Africa, l'Eurasia e, poi, si sono espansi fino a raggiungere il resto del mondo. È anche un fenomeno sociale importante, perché mentre gli cammini insieme, sei costretto a prestare attenzione all'altro. Ed è un fenomeno politico, che è il motivo per cui le autocrazie hanno così paura delle marce di protesta».
Perché camminare ha effetti sul nostro cervello?
«Ne favorisce la resilienza. Da un lato, l'attività fisica necessita di un comando da parte del cervello; dall'altro, camminare è una sfida notevole per il corpo, uno sforzo positivo il quale, a sua volta, ha un feedback sul cervello stesso».
Come?
«I muscoli, attivati, producono delle molecole che proteggono il cervello, favorendo la costruzione di connessioni fra i neuroni e la vascolarizzazione: non è che sia la cura contro l'invecchiamento, ma rallenta molto il processo».
Che altro favorisce?
«Il pensiero creativo. In una serie di test, in cui le persone devono trovare usi creativi per strumenti comuni in trenta secondi, si è visto che, se una persona normalmente trova dieci usi alternativi, se cammina prima del test la sua creatività raddoppia. E questo vale anche per adulti e anziani».
Come è possibile?
«Innanzitutto, camminare è una sfida per il nostro cervello: alzarsi, mantenere l'equilibrio, muoversi, tutto questo stimola l'attività in molte aree cerebrali diverse e, in pratica, spinge il nostro cervello a lavorare. E poi camminare aiuta la contemplazione e il flusso libero dei pensieri, come molti filosofi e scienziati hanno sperimentato, da sempre, perché spinge ad approfondire i dettagli, più volte, fino a trovare la soluzione del problema».
Camminare risolve i problemi?
«Assolutamente. Se hai un problema, vai a camminare. E poi dopo ti siedi... Stare seduti non fa bene, il nostro corpo è concepito per il movimento, e per trarre beneficio dal movimento stesso».
La soglia dei diecimila passi al giorno?
«All'inizio è stata inventata, però vari studi dimostrano che, oltre i 7500 passi al giorno, crolla il rischio connesso alle cosiddette malattie della sedentarietà. In ogni caso, durante questa intervista io ho già fatto mille passi... E poi camminare riduce anche il rischio di depressione».
Ha effetto sui disturbi psichiatrici?
«Tutti gli studi mostrano che le persone che fanno più attività corrono meno rischi di essere depresse. Non sappiamo come funzioni su altri disturbi, come quello ossessivo compulsivo, ma non mi stupirei se, anche qui, avesse effetti positivi, poiché uno dei benefici del camminare è smettere di pensare continuamente a sé stessi: un eccesso di concentrazione su di sé è poco salutare, mentre camminare, beh, ti impegna in una relazione con il mondo e con gli altri, e ti aiuta ad allontanarti dai tuoi problemi».
Aiuta anche la memoria e l'apprendimento?
«La Bdnf, la molecola prodotta dai muscoli mentre camminiamo, aiuta a fissare i ricordi nel nostro cervello; e poi durante il movimento, incluso il camminare, tutte le aree del cervello traggono benefici: la capacità di attenzione e di trattenere informazioni, il tempo di reazione, tutto. Non servono medicine per la memoria, bisogna fare esercizio, e dormire».
È vero che a camminare siamo i migliori, nel mondo
animale?«In assoluto, non c'è nessuno come noi. E non lo facciamo più, questo è il problema. Le città dovrebbero essere progettate per il movimento e per favorire la mobilità, per tutti: camminare è il nostro futuro».
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